Conosci te stesso

La storia della nostra vita è un lungo rosario di «vorrei, ma non riesco»: da «vorrei mettermi a dieta» torta fino a «vorrei riuscire a perdonare» o «vorrei smettere di bere».
Fermati un attimo a considerare questo: non è vero che desidereresti essere migliore di ciò che sei? Ognuno lo desidera, è quello che definisce il concetto stesso di umanità: «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza» diceva Dante. Eppure non ci riusciamo, vorremmo essere migliori, proviamo e riproviamo, ma ogni volta siamo riportati miseramente alla nostra incapacità. E non è un mistero questo? Se in te abita la consapevolezza di un bene più grande, come mai non riesci a metterlo in pratica? Sai bene che dovresti fare quella telefonata, scrivere quella lettera, ascoltare quella persona… perché allora non lo fai? O al contrario, sai perfettamente cosa dovresti fare per elevarti al di sopra delle tue miserie e delle tue dipendenze… eppure non riesci! Questo ci fa comprendere che siamo esseri duplici, da una parte sostanzialmente schiavi, ostaggi del peccato come dice Paolo, e dall’altra colmi di una nostalgia di bene che vive nel nostro profondo. Siamo come ergastolani che sospirano vedendo una lama di azzurro attraverso la finestra, marinai spiaggiati che languiscono guardando l’orizzonte. A questo paradosso il genio cristiano risponde con una grande invenzione: l’umiltà, che cambia completamente il nostro rapporto con noi stessi e il mondo. La cultura precristiana non conosce l’umiltà come valore, non nel senso che i cristiani danno a questa parola. Ti ricordi i tuoi studi di filosofia? Per i filosofi stoici, Seneca e gli altri, il grande valore è la metriotes, la misura, la conoscenza del proprio limite, e quindi il non avere pretese troppo alte, l’accontentarsi di ciò che si è, scegliendo l’aurea mediocritas; in questo lo stoicismo assomiglia molto a certe filosofie moderne, come il buddismo promosso dalla Soka Gakkai.  Per questo era scritto sul frontone del tempio di Delfi: «Conosci te stesso» (anche se poi Platone ha dato a questa frase un altro valore). Ma per il Cristiano non c’è autentica conoscenza di sé senza partire dall’altissima vocazione a cui siamo chiamati dall’amore di Dio, l’umiltà cristiana quindi non sarà mai una mediocritas, per quanto aurea. Mentre per i filosofi stoici la pace e l’equilibrio interiore consistono nel non avere alcun desiderio, per il Cristiano al contrario consisteranno nell’andare fino in fondo a ogni desiderio, per scoprire che alla fin fine è un desiderio di Dio. Conoscere se stesso per il Cristiano significa prendere coscienza di due cose a un tempo: da una parte, dell’infinito amore con cui siamo amati e dell’altissimo orizzonte a cui questo amore ci destina; dall’altra, della nostra attuale distanza da questo orizzonte e della nostra incapacità di raggiungerlo con le nostre sole forze. Non conoscendo Cristo, il mondo pagano non poteva concepire né l’immensa grandezza a cui l’uomo è destinato, né l’enorme bassezza di cui è capace, perché anche il male si rivela in tutta la sua portata solo quando è apparsa la pienezza del bene. Quando la scoperta di questa contraddizione, anziché gettarci nella disperazione, ci riempie di gioia per l’enormità della Grazia ricevuta, questa è l’umiltà. L’umiltà consiste nell’accettazione gioiosa di un paradosso: io e te siamo nani destinati a diventare giganti, animali chiamati a essere divinizzati.

Fra AMAB

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