Eucarestia ed eucrasia

Lo stress da lavoro e la sindrome del burnout sono sempre più presenti nella nostra società.
Il fenomeno colpisce in misura prevalente coloro che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto o entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza.
Esaurimento emotivo, depersonalizzazione, cinismo, insoddisfazione permanente, sono i campanelli d’allarme che accompagnano il disturbo.
Il mondo del lavoro nei colloqui di assunzione prevede ormai la capacità di adattarsi allo stress quale elemento di idoneità.
La competitività, l’ottimizzazione delle risorse umane, la delocalizzazione delle aziende e la mobilità dei lavoratori, fanno il resto.
Naturalmente anche la disoccupazione provoca disagio e stress: i due estremi si incontrano.
Sentii parlare per la prima volta di stress e burnout durante la mia attività missionaria in Africa. Fu provvidenziale perché lo studio mi fornì gli strumenti per evitarne i rischi. Tanti operatori umanitari e sacerdoti ne sono afflitti in quel Continente.
L’attività pastorale in condizioni limite, magari in zone di guerra o dall’ambiente ostile, non sono mai una passeggiata e incidono fortemente sul successivo modus vivendi.
Mi è venuto in mente tutto questo durante una trasmissione interattiva condotta ieri su Radio Mater. Un’ascoltatrice mi chiedeva come equilibrare l’amor proprio con l’amore verso il prossimo. Dichiarava candidamente di essere rimasta delusa dalle persone verso le quali si era tanto prodigata, compreso marito e figli, rimproverandosi di aver trascurato se stessa.
Non potendo fornirle una risposta esaustiva nei tempi del palinsesto, mi riproponevo di venirle incontro attraverso questo scritto.
Il tema infatti è tutt’altro che banale e interpella tante persone oggi più che mai.
Il principio che deve condurci è la consapevolezza di poter dare ciò che si ha.
Alle volte una generosa operosità indica il fabbisogno o almeno il desiderio di affetto, rispetto e apprezzamento degli altri.
Non c’è nulla di male in tutto questo, ma il rischio di essere delusi e disattesi è molto alto.
La tendenza a nutrire aspettative smisurate nei confronti degli altri crea quasi sempre frustrazione. Forse non ce ne accorgiamo, ma la nostra cultura, attraverso i suoi canali comunicativi nell’era della connessione che supera persino i tradizionali (mass) media è una continua gogna.
La parabola della pignoleria sulla pagliuzza nell’occhio dell’altro è abbastanza eloquente così come la reciprocità di giudizio – quando saremo davanti a Dio – rispetto al criterio e al metro che abbiamo utilizzato per gli altri.
E’ necessario allora rimodulare le nostre energie affettive e lavorative confidando e confrontandoci con un soggetto che ci aiuta ad alzare l’asticella del salto di qualità umano e spirituale: Gesù Cristo.
Se “l’amore non ha misura” così come bene insegna la scuola di spiritualità francescana che cerco di fare propria, è altrettanto vero che senza un aiuto soprannaturale che ci viene elargito dalla grazia di Dio rischiamo di “crack- are”. Solo Dio, infatti è capace di amore in-finito.
Oggi c’è tanta sete di spiritualità, ma pochi decidono di vivere un incontro personale con Dio, fatto di fede fiduciale, fedele, impegnata.
Il cristianesimo alza l’asticella nel confronto e nella configurazione con “Colui che elevato da terra attira tutti gli uomini a sé” (cfr. Gv 12,32).
Quest’elevazione da terra, tuttavia, è il paradosso e lo scandalo della sua Croce!
In Cristo possiamo recuperare tante motivazioni, energie interiori, consolazioni ed essere incoraggiati a trasformare il male in bene.
Il modo con il quale Dio ci ama è esemplare per tutti i modelli di relazione: abbracciare senza soffocare, come il Crocifisso.
La moglie, il marito, i figli, i genitori, il fidanzato/a, l’amico, la collega, devono respirare!
Bisogna disporre per se stessi e per gli altri di uno spazio vitale così come bisogna attrezzarsi a fronteggiare l’essere “divorati” dagli altri.
In questo caso, se siamo configurati a Cristo, dall’Eucarestia possiamo ricavare l’eucrasia, cioè quella condizione che non provoca condizioni patologiche di fronte a livelli di stress rilevanti, una sorta di eustress, cioè stress che genera condizioni positive di sfida con un senso di vitalità, speranza e vigore.
E’ però necessaria una vita soddisfacente e di benessere. Una ricerca medica americana del 2005 rivelò che le condizioni di eustress erano possibili anche con un duro allenamento come quello dei militari in teatri di combattimento, gli operatori di un team di Formula Uno o i reduci di un duro noviziato religioso.
Per il “club degli altruisti” basterà ricordare il seguente adagio:
“Quando curi una malattia (anche spirituale) puoi vincere o perdere.
Quando ti prendi cura di una persona (o di una comunità) vinci sempre”.

Fra AMAB

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