Perché Dio permette le tragedie ambientali?

Le recenti copiose precipitazioni che hanno interessato il nostro Paese hanno provocato numerosi danni ambientali e, ancor peggio, numerose vittime.
Dopo il fatto di cronaca, a riflettori spenti, sorge una riflessione sulle cause della tragedia e sul perché della sofferenza.
Nell’Antigone di Sofocle si legge che “la vita ha molte forze tremende, eppure più dell’uomo nulla è tremendo…”.
Ci si chiede quindi quella che sia la ripartizione delle responsabilità tra forza della natura scatenata e il Prometeo irresistibilmente scatenato che è in ogni uomo.
Mi chiedo se i fascicoli che la Magistratura apre spesso contro ignoti possano resuscitare i morti o evitare il ripetersi di eventi ancora più spesso annunciati e mai evitati.
Il problema è quando, nel Tribunale di quella storia fatta dagli uomini, si voglia necessariamente convocare il Creatore in una panacea di teodicea che rivela il mai riconciliato dualismo tra verità e valori, tra Dio e mondo, tra l’uomo e il mondo, tra l’essere e il dover essere.
Pur nel fallito tentativo “restaurazionista” di un lustro e mezzo fa c’è sempre qualche cristiano misoneista che improvvisa la predica o l’articolo di un cristianesimo senza pietas, privo di compassione, secondo il quale Dio sarebbe arcigno, feroce, crudele, vendicativo nei confronti di una “generazione infedele e perversa”.
Molti eventi naturali catastrofici si stanno susseguendo negli ultimi anni.
Ricorderemo lo tsunami che ha flagellato le coste dell’Indonesia, il terremoto di Fukushima e ora le tempeste in Italia afflitta da un clima che sembra diventare più tropicale che temperato.
Ci chiediamo naturalmente se c’è un messaggio di Dio in questi eventi.
Per comprendere l’azione della Provvidenza, che dà una ragione a tutto ciò che avviene, anche alle tragedie, come i terremoti, bisogna però avere una prospettiva soprannaturale: la prospettiva di chi crede nell’esistenza di un Dio creatore e rimuneratore della vita eterna.
Chi nega Dio, come gli atei e i laicisti militanti, ma anche coloro che pur non professando l’ateismo vivono di fatto nell’ateismo pratico, non può concepire l’idea della Provvidenza.
Il 1° novembre del 1755, un terribile terremoto del 9° grado della scala Richter colpì Lisbona, capitale del grande Impero portoghese, e la rase al suolo. Lisbona era uno dei più influenti centri europei dell’Illuminismo: si parlò di castigo divino e la mente degli illuministi, Voltaire, scese in campo con un poema sul disastro di Lisbona pieno di invettive contro l’idea di Provvidenza divina.
Questa volta non furono “i cattolici D.O.C.” emuli del tradizionalista De Maistre a pontificare.
Voltaire, in quello scritto, chiede provocatoriamente: “Ai deboli lamenti di voci moribonde, alla vista pietosa di ceneri fumanti, direte: è questo l’effetto delle leggi eterne che a un Dio libero e buono non lasciano la scelta? Direte, vedendo questi mucchi di vittime: fu questo il prezzo che Dio fece pagare per i loro peccati? Quali peccati, quali colpe hanno commesso questi infanti sul seno materno schiacciati e sanguinanti?”.
Si aprì da allora un dibattito filosofico che non si è mai spento e che riemerse con un altro terribile terremoto, quello che il 28 dicembre del 1908 distrusse la città di Messina, facendo quasi centomila vittime.
Mons. Orazio Mazzella (1860-1939), arcivescovo di Rossano Calabro, all’indomani della tragedia fece una serie di riflessioni.
In primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.
Infatti, se la terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo d’esilio e dimenticheremmo troppo facilmente che noi siamo cittadini del cielo. Scrive mons. Mazzella:
“Come quei viaggiatori che, passando per una regione incantevole ove tutto è azzurro di cielo, sorriso di prati, trasparenza di onde tranquille, provano il desiderio di fermarsi, di abbandonarsi ad un dolce riposo, e sentono meno vivo il tormento della patria lontana, così noi sotto un cielo sempre senza nubi, alla riva di un mare senza tempeste, sopra una terra che mai tremasse, saremmo colpiti da un sonno dolce, ma fatale nell’oblio delle nostre immortali speranze. Le grandi catastrofi sono la voce di Dio, che ci sveglia dal sonno letale e ci fa pensare alla patria lontana; sono, dirò meglio, il cerchio di ferro, col quale Dio ci stringe per farci sentire che la terra è angusta per noi e non è che luogo di passaggio per la nostra anima immortale. La terra ci attira, perché ci attira il piacere”.
Quando la terra trema, l’uomo riscopre la fragilità delle cose terrene e solleva lo sguardo dalla terra al Cielo.
Morte, malattie, sofferenze, angosce di ogni tipo, sono conseguenze del peccato originale, è vero, ma tutto può essere vinto dalla vita della Grazia che, morendo sulla Croce, Gesù ha portato agli uomini spalancando le porte della vita eterna, dell’eterna felicità.
Sono questi i pensieri a cui ci dovrebbero richiamare le tragedie collettive, come i terremoti, permessi da Dio per ottenere beni spirituali più alti della vita materiale, perché le sofferenze materiali non sono il male supremo e Dio le permette, come purificazioni per aprire il nostro cuore a beni più alti di quelli materiali.
Ora se l’uomo decide nel suo egoismo di uccidere per fama e potere, è colpa di Dio? È forse Lui la causa dei nostri mali, ha forse deciso Lui di costruire case senza cemento e ferro per guadagno e ha forse deciso Lui di non mettere in sicurezza milioni di case edificate abusivamente accanto ai torrenti stagionali o alle pendici della montagna o dei vulcani?
E’ necessaria quindi un’ecologia sull’uomo in un cambiamento di clima culturale e spirituale che accompagni i cambiamenti climatici per riportare tutto e tutti all’ordine cosmico e non al perdurante caos morale e ambientale.
L’uomo muore, quando perde la vita eterna. Il contrario della salvezza non è, quindi, la sola sofferenza temporale, una qualsiasi sofferenza, ma la sofferenza definitiva: la perdita della vita eterna, l’essere respinti da Dio, la dannazione. Il Figlio unigenito è stato dato all’umanità per proteggere l’uomo, prima di tutto, contro questo male definitivo e contro la sofferenza definitiva.

Fra AMAB

 

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