L’ikigai giapponese a Calderà!

L’Estremo Oriente mi ha sempre affascinato e la sua cultura ha sempre arricchito il mio piccolo bagaglio di conoscenze umane.
Leggo sempre con piacere la letteratura giapponese e apprezzo il suo cinema forse per quella specularità assiologica con la nostra anche se espressa in una religione diversa.
Miyizaki non ha forse celebrato l’Italia nei suoi capolavori di animazione?
Non sono forse i giapponesi i più grandi estimatori del nostro Rinascimento?
Non c’è forse a Napoli un’Università che consacra i suoi studi all’Oriente proprio accanto alla chiesa dei Domenicani e alla pasticceria “Scaturchio” dove gli studenti tra un esame e un altro di arabo o cinese consumano la loro sfogliatella e il babà?
Proprio mentre qualche anno fa lavoravo sul tema dell’ottimismo per una conferenza, ho conosciuto la parola giapponese “IKIGAI” il cui concetto esprime la sensazione di vivere un’esistenza ricca di significato, che valga la pena di essere vissuta.
Ho scoperto più tardi che le persone dotate di un forte ikigai conducono vite appaganti e trovano sempre un buon motivo per alzarsi la mattina, oltre a godere, in generale, di una più alta aspettativa di vita, come hanno dimostrato alcuni studi clinici. Il fatto che in giapponese esistesse una parola per indicare una pienezza di senso concretamente vissuta mi ha sorpreso in modo positivo. Nelle lingue europee non c’è nulla del genere.
In termini concettuali l’ikigai potrebbe corrispondere al nostro concetto cristiano di amore agapico quale motore di ogni creatività ed oblatività.
Riferendoci alle parole del Concilio l’uomo si ritrova pienamente nel dono sincero di sé
Mi piaceva anche l’idea che si potesse avere, a seconda dei casi, più o meno ikigai, inteso come un’energia vitale capace di tradursi in salute psichica e fisica in proporzione alla sua intensità.
A pensarci bene, è logico: chi non percepisce un senso profondo nella propria esistenza e non sa quale sia il suo scopo, o perché affronti ogni nuova giornata, vivrà con minor energia ed entusiasmo di chi invece ne ha preso coscienza e ogni giorno si dedica a ciò che lo rende felice e gli procura gioia e soddisfazione. L’ ikigai per S. Massimiliano Maria Kolbe era l’Immacolata!
Fu infatti missionario in Giappone per sei anni e condusse un’attività febbrile di apostolato per far conoscere ed amare l’Immacolata.
Per ottenere questo scopo, tuttavia, Padre Kolbe fondò le “Città dell’Immacolata”, complessi conventuali che videro in Polonia più di ottocento frati uniti in un ideale e solidali nel lavoro.
Fu a Niepokalanow a quaranta chilomentri da Varsavia che Padre Kolbe fondò il mensile prima e il quotidiano poi, più diffusi nell’intero Paese.
Da buon francescano era consapevole del valore della fraternità e della forza della comunità.
Anche questa dinamica è racchiusa nella parola giapponese Yuimaru.
A Ogimi, una piccola località del Nord di Okinawa, vivono tremiladuecento persone.
Laggiù il principio dell’ikigai è strettamente legato a un senso molto spiccato della comunità.
Le persone appartengono a uno o più gruppi formatisi nel corso di decenni, e sanno di poter contare le une sulle altre. La loro vita quotidiana è ricca di interazioni sociali e rapporti di solidarietà.
Ho pensato molto a questo modello per la mia parrocchia di Calderà e spero poterlo sempre più applicare e sviluppare in occasione dei grandi eventi o delle feste liturgiche che accompagnano il ritmo della nostra comunità.
Il concetto di yuimaru –termine che nel dialetto di Okinawa significa «cerchia di riferimento» – obbedisce al principio del mutuo soccorso. Ciascuno si sforza di cavarsela per conto proprio, perché nessuno deve approfittare delle risorse del gruppo o godere di privilegi indebiti, eppure tutti sanno che in caso di necessità potranno sempre contare sull’aiuto degli altri. Ognuno si sente responsabile di se stesso e del benessere della comunità. Gli individui ricercano la massima indipendenza per non gravare inutilmente sul prossimo, ma contemporaneamente sono fedeli al gruppo e sempre pronti a impegnarsi per aiutare gli altri nel modo più discreto e delicato possibile, sorreggendoli finché non riescono a proseguire da soli.
Il principio dello yuimaru è una componente irrinunciabile dell’ikigai degli abitanti di Ōgimi. Da un lato essi perseguono con determinazione l’obiettivo di vivere un’esistenza degna di essere vissuta e rimanere indipendenti il più a lungo possibile; dall’altro si riconoscono nella comunità e sono mossi da un profondo sentimento di appartenenza, che a sua volta funziona come un potentissimo generatore di senso. Il modo in cui si sceglie di comportarsi è spesso legato alle esigenze altrui: in questo caso il fulcro dell’agire non è tanto l’obiettivo individuale, quanto il contributo alla comunità.
Quando le nostre vite non si limitano a ruotare intorno a se stesse ma si orientano a una prospettiva più vasta che le ricomprende tutte, proviamo un senso di appagamento interiore, come ha mostrato anche la moderna psicologia positiva. Martin Seligman, promotore della cosiddetta «teoria della felicità», ritiene che senza quell’apertura sia molto difficile dare un senso profondo alla propria esistenza. Chi coltiva relazioni sociali stabili con persone che, a seconda dei casi, lo aiutano oppure ricercano il suo sostegno ottiene un doppio beneficio: da un lato è meglio attrezzato per far fronte ai problemi personali, perché è sorretto dalla rete protettiva della comunità; dall’altro il suo ikigai può attingere a risorse durature. In Occidente, soprattutto nelle grandi metropoli, non siamo quasi più capaci di instaurare legami comunitari di tipo tradizionale come quelli degli abitanti di Ōgimi, tuttavia possiamo impegnarci a consolidare i nostri rapporti con gli amici e i famigliari. In campagna o in città, le opportunità di sfuggire all’isolamento per costruire contesti comunitari sono molteplici: si possono praticare attività di gruppo, avviare progetti insieme, sperimentare forme alternative di convivenza…
La possibilità ad esempio di lanciare un sasso nello stagno nel periodo invernale dove una località come Calderà sembra in letargo, ci viene offerto dall’allestimento del Presepe Vivente.
E’ un sacrificio, ma intorno alla Parrocchia di S. Rocco alimenta il senso di appartenenza a una comunità che è uno dei pilastri dell’ikigai.
Mi aspetto cose belle, cose grandi, cose edificanti anche quest’anno.
Buon ikigai a tutti!

Fra AMAB

 

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