Il messaggio di S. Paolo

A conclusione della Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, la chiesa celebra la festa della conversione di San Paolo.
La sua figura è universalmente apprezzata all’interno delle confessioni che professano Cristo benché alcuni aspetti del magistero espresso nei suoi scritti possano trovare interpretazioni diverse con i fratelli separati.
San Paolo è chiamato nella liturgia per eccellenza «Maestro del mondo», «Mundi Magister» (Hym. in I Vesp. SS. Petri et Pauli, 29 Iun.).

Giovanni Crisostomo dice che tutti dovrebbero conoscere i suoi insegnamenti e meditarli assiduamente.

Saulo di Tarso, che aveva cooperato alla lapidazione del martire S. Stefano ed era un fiero persecutore della Chiesa nascente, munito di pieni poteri dal principe dei sacerdoti, si recava a Damasco per arrestare quanti cristiani vi avesse trovati, uomini e donne, e condurli legati a Gerusalemme. Ma, avvicinandosi a quella città, d’improvviso una luce del cielo gli sfolgoreggiò d’intorno, e, caduto a terra, udì una voce che disse: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» «Chi sei tu, Signore?» egli rispose. E il Signore a lui: «Io sono Gesù, che tu perseguiti ». Al tempo stesso Saulo, tremante ed attonito, più non vedeva. Ma dopo tre giorni il discepolo Anania fu inviato a lui da Dio, e subito caddero dai suoi occhi come delle scaglie, immagini dei veli di ignoranza e di passione che lo avevano fino allora accecato, e ricuperò la vista. Saulo persecutore non esisteva più; era divenuto Paolo l’Apostolo.

Il primo insegnamento, che possiamo dedurre da questo prodigio, è che non si deve mai disperare della conversione di un peccatore, anche se si tratti di un nemico dichiarato di Dio e della Chiesa. Tale era stato Saulo, come apparisce dalle sue stesse testimonianze: «fui prima bestemmiatore e persecutore e oppressore » (I Tim., I, 13). « Voi avete sentito dire quale fosse una volta la mia condotta…: come oltre misura io perseguitavo la Chiesa di Dio e la devastavo » (Gal., I, 13). Eppure di quest’uomo Iddio dopo dirà : « Egli è uno strumento da me eletto a portare il mio nome dinanzi alle genti e ai re e ai figlioli d’Israele » (Act., IX, 15).

Senza entrare nel segreto delle predilezioni divine, è permesso di pensare che questa grazia insigne e gratuita fosse quasi una risposta del Signore alle preghiere del Protomartire Stefano e dei primi cristiani, i quali, compiendo esattamente il precetto di Gesù (Luc., VI, 27-28), facevano del bene a quelli che li odiavano e pregavano per i loro calunniatori (Act., VII, 59). La preghiera per i peccatori ha continuato sempre ad operare nella Chiesa le sue benefiche meraviglie. Quante pie spose e madri ne hanno provato gli effetti! Quante donne cristiane hanno richiamato a Dio un marito talvolta nettamente ostile, più spesso indifferente o noncurante delle pratiche religiose! Quante madri, come S. Monica, hanno ottenuto colle loro lagrime e colle loro suppliche il ritorno a Dio di un Agostino! Ecco come il Signore domanda che si preparino le vie alle sue grazie di conversione.

Molti si chiedono perché questo giovane dall’intelligenza viva, dal giudizio retto, dalla volontà tenace, dall’anima ardente, non fu uno dei primi a seguire Gesù? Perché fu in principio spietato nemico di ciò che egli doveva più tardi amare, predicare, difendere sino alla morte? Anche qui egli stesso ci risponderà. Essendo Fariseo, figlio di Farisei (Act., XXIII, 6), oltremodo fervente zelatore delle sue paterne tradizioni (Gal., I, 14), agì per ignoranza nella incredulità (I Tim., I, 13). L’odio di Saulo era dunque il frutto della ignoranza e dell’errore, e questa ignoranza e questo errore erano alla loro volta il frutto di una falsa educazione. Egli aveva attinto prima dai suoi genitori, poi dal suo maestro Gamaliele (Ad., XXII, 3), lo spirito rigidamente formalista e settario, che i Farisei dalle tempia ingiallite avevano infiltrato, come un veleno disseccante, nella legge divina e nelle sublimi profezie dello Antico Testamento. Egli aveva così da essi ereditato un odio preconcetto e implacabile contro tutto ciò che sembrava poter minacciare l’impalcatura minuziosamente artificiosa dei loro sofismi.

Tali sono i risultati di una educazione viziata o anche semplicemente difettosa dai suoi inizi.

Last but not least, un ultimo insegnamento che S. Paolo convertito ci offre è contenuto in queste sue parole: «Gratia eius in me vacua non fuit» (I Cor., XV, io): la grazia del Signore, che è in me, non è stata infruttifera, io ho collaborato alla grazia divina.

Rialzandosi dopo l’urto prodigioso ricevuto davanti alla porta di Damasco, Paolo avrebbe potuto credere che questo colpo fulmineo bastasse per trasformarlo definitivamente da persecutore in apostolo.

Invece no. La grazia di Dio esige, per raggiungere il suo pieno effetto, una libera e assidua collaborazione della nostra volontà personale. Saulo, benché pienamente convertito e chiamato all’apostolato, restò tre giorni immobile a Damasco nella preghiera e nel digiuno (Ad., IX, 9). E prima di tornare a Gerusalemme, passò tre anni nel ritiro prima in Arabia e poi a Damasco. Allora soltanto andò nella città santa per vedere Pietro, e rimase quindici giorni con lui (Gal., I, 17-18). Egli era ormai pronto per l’azione apostolica, vale a dire per un lavoro che sarebbe stato sempre una cooperazione della sua volontà alla grazia. Gratia Dei mecum (I Cor., XV, 10).

La conversione e la perseveranza nel bene non è un « coup de foudre », un colpo di folgore iniziale. Anche nell’ordine del sentimento naturale, l’esperienza insegna che una provata conformità di credenze, di tradizioni e di aspirazioni vale più e meglio di una subitanea emozione del cuore e dei sensi.

Come i fuochi di artificio, che incantano la vista nelle notti di estate, l’amore nato da una esplosione può facilmente con essa estinguersi, ridotto ben presto in vano ed acre fumo.

Invece, l’amore vero e durevole, come il fuoco delle mura domestiche, si fonda su premurose attenzioni e sopra una costante vigilanza, e si mantiene non solo colle grosse legna che si consumano silenziose e lente sotto la cenere calda, ma anche coi minuti ramoscelli, che gli apportano lo sfavillio e il lieto crepitare delle loro scintille.

 

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