Festa della Donna vissuta o celebrata?

L’ 8 marzo è la festa internazionale della donna.
Si è forse persa la memoria sull’origine “comunista” della ricorrenza inaugurata all’inizio dello scorso secolo in un momento storico nel quale le post suffragette facevano la differenza dell’ago della bilancia elettorale. Per celebrarla e mitizzarla si fece ricorso alla bufala di un rogo in fabbrica dove persero la vita solo donne operaie semischiavizzate dal padrone.
In tema con la vocazione storica il simbolo della mimosa venne adottato nel 1946 a Roma per la reperibilità stagionale e la sostenibilità economica del fiore.
Una sola, tra le conquiste sociali e politiche degli ultimi decenni, ha messo radici: la rivoluzione delle donne.
Per questo è fondamentale difendere i diritti e le libertà che le donne hanno conquistato.
Ancora nel 1975 picchiare la moglie in Italia non era reato: la legge riconosceva la potestà maritale e la Cassazione stabilì che poteva essere esercitata anche con «mezzi coercitivi»; le botte, appunto.
I «femminicidi», come si chiamano ora, c’erano già, ma non facevano notizia: esisteva il «delitto d’onore»; chi tornava a casa, trovava la moglie con un altro e la ammazzava a volte non finiva neanche in galera.
Appena cent’anni fa, le donne erano considerate figlie di un dio minore. Spesso non sposavano l’uomo che amavano: il loro matrimonio era deciso dalla famiglia. A volte venivano violentate e costrette a un matrimonio riparatore. Nelle campagne erano vendute al miglior offerente in cambio di una magra dote, con la mediazione di un sensale, come si faceva per le bestie. Era il mondo delle «spose bambine», dell’infanzia negata come oggi in Yemen, dove nell’inverno 2016 la piccola Rawan, venduta dalla famiglia e andata in sposa a otto anni, è morta nella prima notte di nozze.
La donna doveva stare a casa. Pazientare. Sopportare tradimenti, maltrattamenti, a volte violenze. La sua dignità dipendeva dalla bontà d’animo del marito, non dal diritto. Qualcuna si ritagliava un’indipendenza, talora anche un ruolo di comando, grazie alla personalità e alla forza morale: tutti abbiamo letto o sentito di famiglie in cui «era lei a portare i pantaloni». Donne che, come nel tango, davano all’uomo l’illusione di guidare; in realtà, erano loro a condurre la danza.
A distanza di un secolo se la politica, la società e l’economia hanno riconosciuto un posto d’onore alle donne che la famiglia, specie i figli, non le avevano comunque mai negato, non sembra che la condizione esistenziale sia davvero migliorata.
La donna manager che procrastina la maternità e il matrimonio per la carriera, l’attrice che denuncia (una volta sfiorita) gli abusi di registi e produttori, la mignottocrazia berlusconiana d’antan e il telecommercio di ostentati pezzi di corpo femminile, non depongono a favore dell’empowerment tanto annunciato dopo le Conferenze del Cairo e di Pechino.
Durante l’edizione 2018 del Festival di Sanremo la presentatrice Michelle Hunziker inserì nello show sul palco dell’Ariston un flashmob con le canzoni dedicate alle donne.
Malgrado le proteste ex post delle femministe, i due motivetti più sentiti e applauditi furono “Viva la mamma” di Edoardo Bennato e la celebre “O mia bela Madunina” dedicata alla Mamma delle mamme e alla Donna per eccellenza di Maria di Nazareth.
Alla luce di Maria la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza che è specchio dei più alti sentimenti di cui è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell’amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l’operosità infaticabile; la capacità di coniugare l’intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento.
Possiamo quindi affermare che Maria Santissima è una donna stupenda da qualsiasi punto di vista la si guardi, che I papi e la Chiesa ce la additano come esempio di femminilità, ce la mostrano come luce che illumina ogni donna.Se è vero che il Signore l’ha scelta come Madre di Cristo e se è vero che la sua anima non è mai stata macchiata dal peccato è anche vero che la Santa Vergine era una donna nel senso pieno della parola, era uguale in umanità a tutte le donne. È per questo che la sua figura può essere proposta come esempio di un modo di essere e di fare per qualsiasi donna di qualsiasi tempo e luogo.
Allora è da chiedersi: com’è la donna cristiana? È veramente quella donna attiva, che si impegna nel quotidiano, giorno dopo giorno, per realizzare la missione che il Signore le ha affidato? E la missione, per le donne già sposate, è quella di occuparsi prima di tutto della propria famiglia: pensare al marito, all’educazione dei figli, alla loro istruzione non solo culturale ma soprattutto religiosa, dato che in molti documenti del Magistero viene sottolineato che i primi catechisti sono proprio i genitori. Questa è la prima e più importante missione della donna: essere moglie e mamma, cooperare attivamente per svolgere al meglio quella che è una vocazione data dal Signore.
La donna che si dice cristiana è veramente libera, capace di scelte libere e liberanti dalle tante schiavitù del mondo? È capace di fare le proprie scelte alla luce del Vangelo, degli insegnamenti della Chiesa, è capace di andare controcorrente rispetto a quello che il mondo pensa, rispetto a quello che le amiche, le colleghe di lavoro e magari anche qualche familiare poco religioso pensano e sostengono?
L’enciclica Redemptoris Mater dice che è la grazia che Maria Santissima porta in sé a determinare “la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere”. Quindi non si tratta semplicemente e solamente di un fatto estetico, fisico, esteriore: la Madonna è modello di bellezza non solo per il suo comportamento, per l’atteggiamento, per la modestia, ma anche e soprattutto per le sue virtù, per la grazia di Dio di cui era ripiena, per il suo Cuore che era Immacolato. È questo che, più di ogni altra cosa, fa di Maria Santissima la donna più bella, il modello della femminilità. Non sono il trucco, il vestirsi alla moda, il farsi la tinta ai capelli a determinare la bellezza della donna, ma è il suo interno, è il vivere in grazia di Dio, è quel complesso di virtù, è quella santità di vita. Quello che si è, quello che si ha dentro, traspare anche fuori, all’esterno in una perenne liturgia della ferialità che si fa festa e non solo in un 8 marzo qualunque.

Fra AMAB

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