La parrocchia, mistero di comunione, realtà di comunicazione.

E’ fondamentale all’interno di una comunità parrocchiale creare reti di comunicazione e sviluppare la comunione. La parrocchia deve “interiormente” essere comunità e cristiana. Come comunità deve liberarsi dall’individualismo come mentalità e dalla giustapposizione di individui che fanno massa informe come operatività.

In ogni dinamica di gruppo la psicologia sociale c’insegna che c’è sempre il soggetto dominante, poi c’è l’istrionico e poi ancora il paranoico… Ciò che conta è il saper mettere insieme le varie risorse umana, le cosiddette forze vive e affidarle all’azione efficace della grazia che fa agire il Corpo Mistico che è la Chiesa in modo organico e unitario. Catalizzatore di questo processo è l’autorità e soprattutto l’autorevolezza dei pastori accanto alla capacità di ascolto interiorizzato e praticato dei fedeli. Quanto alla dimensione “cristiana” della “comunità” si tratta di configurarsi a Cristo, modello di umanità ma anche di ogni comunità nell’esperienza di discepolato e apostolato da Lui condotta. La Chiesa e le sue comunità non devono essere fatte di cloni che recitano in “retto tono”, ma di voci armoniose in una sinfonia di persone. In un organismo vivente c’è unione di Spirito e di vita; ognuno sente l’altro come parte di sé. Ma ogni membro è se stesso, diverso dall’altro, con la sua funzione specifica. L’unione è vita, ma l’uniformità è morte. La divisione è morte, ma la diversità è vita. Uniti nell’unico amore che tutto vivifica, ciascun membro forma il corpo con il suo contributo specifico, aperto a quello dell’altro. Si può essere in tanti, ma con una mentalità ristretta e settaria; si può essere in pochi, ma con una mentalità aperta e universalistica. Nella nuova evangelizzazione è determinante che ogni credente scopra la propria vocazione apostolica per essere testimone della verità. Infatti, chi si sente figlio è responsabile delle sorelle e dei fratelli: nel suo ambito di vita e di lavoro deve «contagiare» gli altri, sempre pronto a rispondere, con dolcezza, rispetto e retta coscienza, a chiunque gli chieda ragione della speranza che vede in lui (1Pt 3,15s). Ogni credente è essenzialmente apostolo, inviato agli altri dall’amore che lo ha investito (2Cor 5,14). Chi, come il lebbroso guarito, ha conosciuto il Signore, si sente chiedere da lui: «E gli altri nove dove sono?» (Lc 17,17). Chiunque celebra l’Eucaristia è «apostolo», inviato dal e col Figlio a portare l’amore del Padre a tutti. Come in epoche precedenti lo Spirito suscitava ordini religiosi per la riforma della Chiesa e la diffusione della fede, così oggi suscita movimenti laicali che si sentono protagonisti della fede nel mondo. Questo, al di là di inevitabili intemperanze e deviazioni (l’ingenuità fa troppo spesso usare come mezzi ciò che Gesù scartò come tentazioni!), indica qualcosa di nuovo nell’orizzonte della Chiesa. È probabilmente ciò che corrisponde ai bisogni del nostro tempo e che il nemico cerca in ogni modo di rovinare, guastando i movimenti stessi o il loro rapporto con gli altri, favorendo, in nome dell’efficienza, il non rispetto della libertà, la ricerca del potere, la mentalità settaria, ecc. Il «ministero» sacerdotale, profetico, pastorale e apostolico non sostituisce, ma è «a servizio» (ministero = servizio) della santità, verità, libertà e testimonianza comune. Guai se il servizio non serve, o diventa privilegio, addirittura potere: «Non così tra voi», dice Gesù (Mc 10,43). Sia invece venerazione, ascolto, rispetto e aiuto degli altri. Non tutti hanno lo stesso dono, e allo stesso modo. Ma ognuno ha un «suo» dono particolare e a modo suo, che è per l’utilità di tutti (1Cor 12,7). Ci sia quindi un riconoscimento reciproco del dono di ciascuno a servizio dell’altro così come paradossalmente nelle chiese fatte di giovani in America Latina e nelle giovani comunità cattoliche d’Africa si sta già testimoniando e ricordando agli operai della prima ora…

Fra AMAB

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