“Il buco a forma di Dio”

Incontro quotidianamente tante persone la cui costante è un senso di profonda insoddisfazione.
Il sentirsi incompleti può riflettere un’insoddisfazione per la propria realtà quotidiana e segnalare qualcosa da correggere. Se siamo intrappolati in un lavoro deprimente, una relazione senza futuro, una situazione familiare malata, potrebbe essere ora di pensare a qualche cambiamento radicale. L’insoddisfazione non deve essere per forza sopportata stoicamente: può portare a una decisione, a un cambiamento e a una vita più appagante. Tuttavia, per quanto si sia soddisfatti della propria vita, un po’ di questa inquietudine non va mai via, permettendoci di cogliere, se anche di sfuggita, la nostra sete di Dio. “Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” scrisse Agostino millecinquecento anni prima di Bono degli U2 che canta “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” (Ancora non ho trovato quello che cerco).
Questa nostalgia è sintomo di quella che il cuore umano ha di Dio ed è uno dei modi più profondi che Dio ha per richiamarci a sé. Nella nostra inquietudine sentiamo l’eco della sua voce. A volte queste sensazioni sono più forti di un semplice senso di incompletezza, tanto da assomigliare a un vuoto atroce. Uno scrittore l’ha chiamato il “buco a forma di Dio”, lo spazio che solo Dio può occupare nel nostro cuore. C’è chi prova a colmarlo con i soldi, il prestigio o il potere. Pensano: “Se solo avessi di più, sarei felice”. Un lavoro migliore. Una casa più bella. Ma anche dopo aver ottenuto queste cose, ci si può continuare a sentire incompleti, come se si stesse inseguendo qualcosa che non è possibile afferrare. Scattiamo in avanti e ci sforziamo di raggiungere lo scopo della nostra realizzazione, che però sembra essere sempre irraggiungibile. La compiutezza è un premio sfuggente; il senso di vuoto permane.
Una delle migliori riflessioni sul tema la si deve a Henri Nouwen, un prete cattolico, psicologo e scrittore spirituale olandese del XX secolo. In The Selfless Way of Christ (L’atteggiamento disinteressato di Cristo) Nouwen esamina con acutezza la corsa inarrestabile per colmare il vuoto nelle nostre vite. Egli osserva che quanti si precipitano a colmare quel buco già percepiscono che l’impresa è vana. In qualche recesso del nostro cuore già sappiamo che il successo, la fama, l’ascendente, il potere e il danaro non ci procurano la gioia e la pace interiore a cui aneliamo. Da qualche parte avvertiamo persino una certa invidia per quanti si sono liberati da tutte le false ambizioni, trovando una realizzazione più profonda nella loro relazione con Dio.
Nel tentativo di colmare questo buco, alcuni vengono addirittura risucchiati in comportamenti che danno dipendenza, qualunque cosa pur di sentirsi pieni: droga, alcol, gioco d’azzardo, shopping, sesso compulsivo, fame nervosa. Ma queste dipendenze portano solo a un senso di disgregazione ancor più acuto, a un vuoto più denso e, alla fine, alla solitudine e alla disperazione. Il buco nel cuore: è da lì che invochiamo Dio. Ed è lì, più che altrove, che Dio vuole incontrarci. Il nostro desiderio di colmare quello spazio viene da Dio: uno spazio che solo Dio può iniziare a colmare.
Dove trovare allora Dio? Dove e come scoprire la sua presenza?
Mi fece tanto bene in questo senso una preghiera di Madre Teresa di Calcutta oggi santa:
Ti ho trovato in tanti posti,
Signore.
Ho sentito il battito
del tuo cuore
nella quiete perfetta dei campi,
nel tabernacolo oscuro
di una cattedrale vuota,
nell’unità di cuore e di mente
di un’assemblea di persone
che ti amano.
Ti ho trovato nella gioia,
dove ti cerco e spesso ti trovo.
Ma sempre
ti trovo nella sofferenza.
La sofferenza è come il rintocco della campana
che chiama la sposa di Dio alla preghiera.
Signore, ti ho trovato nella terribile grandezza
della sofferenza degli altri.
Ti ho visto nella sublime accettazione
e nell’inspiegabile gioia
di coloro la cui vita è tormentata dal dolore.
Ma non sono riuscito a trovarti
nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri.
Nella mia fatica
ho lasciato passare inutilmente
il dramma della tua passione redentrice,
e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata
dal grigiore della mia autocommiserazione.
Signore io credo. Ma aiuta tu la mia fede.

Come gli apostoli possiamo allora dire: “Io credo Signore, ma accresci la mia fede!”
Chiediamo al Signore di colmare gli spazi ancora vuoti del nostro cuore e d’informarli con la sua stessa forma.

Fra AMAB

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