La Hygge

Ricordo che in “Analisi e pratica del giornalismo” ci venne una volta presentato un articolo suoi popoli più felici della terra. Al primo posto risultava la Danimarca. I danesi sono già stati eletti quattro volte “il popolo più felice al mondo” e comunque sono sempre in cima a questa lista. Ci deve essere qualcosa che i danesi fanno giusto. Qualcosa che noi non facciamo e che non può esaurirsi nel welfare scandinavo o semplicemente nel portafogli o nel posto sicuro di lavoro.

La cosa mi incuriosì e cercai di approfondirla, sia come prete che come giornalista.

Quale stile di vita può infatti renderti felice?

Nella lingua danese questo sentimento benefico di vita lo chiamano “hygge”.

“Hygge” viene dal sostantivo “hu” che in danese significa “senso” o “pensiero”.

La hygge (la parola è di genere femminile) è molto più di sentirsi “solamente” felici. Si tratta in particolar modo di raggiungere questo stato di felicità e soddisfazione. Tutto secondo il motto “la via è la meta”.

Si tratta principalmente di essere felice con se stessi, godere il momento e lasciare alle spalle i pensieri negativi apprezzando le piccolezze nel quotidiano.

La hygge rende felici quando si è soli o in compagnia.

Lo stile di vita danese è soprattutto dare un taglio al nostro quotidiano frenetico. Fermarsi, respirare e avere la capacità di fare una pausa, cose non scontate specialmente oggi. La hygge quindi è proprio questo: prendersi del tempo.

Spesso ci muoviamo così di fretta nel nostro quotidiano da non vedere più niente a destra e a sinistra. La signora anziana al supermercato che ci ha sorriso oppure l’uomo che ci ha tenuto aperta la porta. Non facciamo caso a tutti questi piccoli gesti che ci potrebbero regalare così tanti piccoli momenti di felicità. Il focus è su di noi e nel farlo non ci accorgiamo delle persone e delle cose intorno. Carriera, liste delle cose da fare, appuntamenti su appuntamenti.

Alzarsi, vestirsi, andare a lavoro, pranzo, lavoro, a casa, cena, guardare la tele, a letto e ricomincia da capo. La vita quotidiana di molta gente è purtroppo così. Troppo spesso usiamo la scusa “la giornata è troppo corta”. In realtà non è una scusa ma mostra soltanto l’incapacità di dividere bene il tempo.

Non vorrei scadere in un luogo comune ma lo smartphone sottrae tempo alla vita. Il tempo che passiamo con il cellulare, quindi quello sui social media e tutte le volte che lo sblocchiamo può essere calcolato da diverse applicazioni.

È provato scientificamente che guardare le foto sui social media può rendere infelici, insoddisfatti o persino depressi.

Spesso prendiamo i nostri smartphone quando aspettiamo, vogliamo ingannare il tempo o vogliamo in qualche modo intrattenerci.

Sin da novizio mi hanno insegnato ad apprezzare quello che avevo e a considerare il bicchiere della vita sempre mezzo pieno.

Se pioveva o faceva freddo era un’occasione di lode al Signore come nel cantico del Deuteronomio; se c’era traffico e si camminava a passo d’uomo era un’occasione per recitare un rosario; se t’insultavano, magari sui social, era un’occasione per umiliarti e non montarti la testa.

E’ questa la visione francescana della vita impostata dal santo che ha fatto della perfetta letizia il suo stile di vita.

Che i vikinghi danesi abbiano ispiato S. Francesco o che S. Francesco abbia ispirato i vikinghi?

Il fatto è che nei paesi dal clima particolarmente ostile e poco popolati come in Scandinavia, è facile organizzare la vita sociale e diventa imperativo socializzare per evitare quelle forme depressive causate molto più spesso dalla solitudine che dall’inflazione delle relazioni.

La felicità raddoppia veramente se la condividi. Altro segreto è “sapere staccare la spina” fermando seppur per un attimo la giostra dei pensieri e le cose negative della tua vita. Cosa ti preoccupa? Cosa ti fa paura?

E’ quanto chiedo spesso a delle persone che mi piangono addosso.

Provo tanta pena per loro ma mi riconforta il fatto che la maggior parte dei problemi non dureranno per sempre e che saranno in grado di risolverli. Guai a renderli più grandi di quello che in realtà sono!

Meglio pensare a tutto quello che si è svolto al lavoro fino adesso e quello che gli amici pensano di noi. Aggiriamo veramente i comportamenti negativi. Il pessimismo dei colleghi o il cattivo umore del coniuge o dei confratelli non dipendono da noi. Si esprimono in determinate circostanze con esternazioni che fanno male, ma si basano su sentimenti negativi che sono stati causati da altri fattori. Forse la madre dei tuoi colleghi di lavoro è malata o la tua fidanzata si è stressata a lavoro o quel confratello ha capito fischi per frasche. Non riferire mai a se stessi le reazioni e le osservazioni negative. Con questa strategia ci difenderemo dalle energie negative e non le assorbiremo. Troviamo la gioia nelle cose semplici e soprattutto nelle cose spirituali. “Gustate e vedete quant’è buono il Signore”.

Accontentiamoci di quello che abbiamo e cerchiamo senza l’affanno dei forsennati di migliorare il nostro essere. In questa dinamica anche le nostre azioni acquisteranno un equilibrio e uno spessore qualitativo più elevato.

 

Far AMAB

 

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