Una Chiesa “contempl-attiva”

Papa Francesco il 20 aprile 2018 si è recato ad Alessano e a Molfetta per il 25esimo anniversario della morte di don Tonino Bello, prete, parroco, terziario francescano, scrittore e poeta di cui è in corso la causa di beatificazione.

Mons. Domenico Cornacchia vescovo del luogo e suo pro successore, testimonia di lui: «Posso vantarmi di essere stato suo amico. Era anzitutto un uomo di preghiera. Don Tonino trascorreva più tempo in cappella che altrove. Anche di notte. È famoso il racconto di quella donna vecchietta che custodiva il Duomo e che 4-5 volte a settimana vedeva il vescovo arrivare verso mezzogiorno a casa sua. Le diceva: “vieni, apri la Chiesa e chiudimi dentro”. “Ma come?”. “Lasciami dentro e vieni a prendermi verso le quattro di pomeriggio”. Dalle 12 alle 16, senza pranzare si tratteneva in preghiera. “Eccellenza, lei non mangia?”. “Oggi sono a tavola con Gesù”, rispondeva lui». 

Scrivere di lui per me è un atto dovuto, una richiesta di “perdono vicario” e istituzionale dopo che fino a qualche tempo fa parlare di don Tonino – in certi ambienti – era un tabù.

Lessi i suoi scritti nel silenzio della Valpolicella durante il mio tirocinio a Telepace e non vi rilevai nulla di “eretico”, anzi!

Ho invece riletto recentemente il libello di 68 pagine che un mio confratello scrisse sul presule salentino in “Fides Catholica”(?) una rivista sedicente teologica e vi ho rilevato sofismi, illazioni, pretestuosità… calunnie.

Era il 2012, l’epoca buia che segnò il culmine di abusi dottrinali, gestionali e di governo che portarono al nostro commissariamento grazie alla premura materna della Chiesa verso ogni famiglia religiosa.

«Caro don Tonino», ha detto Papa Francesco rivolgendosi a don Tonino Bello, «se ce lo chiedessi, dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi e per le nostre continue giustificazioni. Ridestaci allora alla nostra alta vocazione; aiutaci ad essere sempre più una Chiesa contempl- attiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo!». Di qui una raccomandazione a tutti i fedeli, di Alessano e del mondo: «Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi».

Come ricordava don Tonino Bello: “Non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l’amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose”». «Vivere per», ha ribadito papa Francesco, «è il contrassegno di chi mangia questo Pane». È il «”marchio di fabbrica” del cristiano». E «si potrebbe esporre come avviso fuori di ogni chiesa». Don Tonino, ha ricordato il Pontefice, «tra voi è stato un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente». Don Tonino «sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che “sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine”». Perché, diceva, «”l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà” e senza alzarsi da tavola resta “un sacramento incompiuto”».

Il «Pane di vita» è infatti anche «Pane di pace».

Il Papa ha ricordato come don Tonino sosteneva che «la pace non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo». La pace «è qualche cosa di più: è convivialità». È «mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse», dove «l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare». Perché i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti». E noi, che condividiamo questo Pane di unità e di pace, ha sottolineato il Pontefice «siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace».

Dopo il «Pane» Papa Francesco ha parlato dell’altro «elemento centrale» della vita cristiana, «la Parola». Richiamandosi al Vangelo appena proclamato ha invitato a non cadere nell’errore della gente «paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita chiesto da Lui». E don Tonino, «proprio nel tempo di Pasqua, augurava di accogliere questa novità di vita, passando finalmente dalle parole ai fatti». Perciò «esortava accoratamente chi non aveva il coraggio di cambiare: “gli specialisti della perplessità. I contabili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi”». Infatti «a Gesù non si risponde secondo i calcoli e le convenienze del momento, ma col “sì” di tutta la vita». Egli «non cerca le nostre riflessioni, ma la nostra conversione: punta al cuore». Di qui l’invito a «rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni». L’invito ad «andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze». Ad «essere portatori di speranza pasquale, “cirenei della gioia”, come diceva don Tonino; servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati». Ad essere «”corrieri di speranza”, distributori semplici e gioiosi dell’alleluia pasquale».

A imparare l’umiltà. Perché «umile non vuol dire timido o dimesso, ma docile a Dio e vuoto di sé».

Allora anche le umiliazioni, magari anche quelle rivolteci dall’uso ozioso e malizioso di internet «diventano provvidenziali, perché spogliano della presunzione e permettono a Dio di rialzarci».

E «la Parola di Dio fa così: libera, rialza, fa andare avanti, umili e coraggiosi al tempo stesso». Non fa di noi «dei protagonisti affermati e campioni della propria bravura, ma dei testimoni genuini di Gesù morto e risorto nel mondo». Splendide le parole che don Tonino rivolge alla Vergine e che smentiscono ogni pretestuosa accusa di irritualità e anti-devozionismo nei confronti di Maria.

“Santa Maria, Vergine della notte, noi t’imploriamo di starci vicino quando incombe il dolore, e irrompe la prova, e sibila il vento della disperazione, e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni o il freddo delle delusioni, o l’ala severa della morte”.

Sempre nei ricordi di Mons Cornacchia, l’ultimo saluto di don Tonino Bello: « Alla fine mi salutò regalandomi il libro “Maria, dono dei nostri giorni” uscito il giorno prima, con una dedica: “Mimmo, lasciati amare da Maria. Molfetta, 17 marzo 1993”». 

E’ questa la consegna che don Tonino consegna alla storia e a ogni figlio di Dio: Lasciarsi amare da Maria.

Fra AMAB

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