Napoli velata o svelata?

E’ impressionante l’intensità del tifo calcistico a Napoli.
E’ bastata la vittoria a Torino sulla Juve per trascinare in strada milioni di persone festanti.
Non è una squadra di calcio che ha vinto, ma un popolo, sognatore e lottatore.
Quando il Napoli vinse il suo primo scudetto era per me l’anno degli esami di maturità.
Ricordo i festeggiamenti e la città tinta di azzurro compresi i marciapiedi!
A domeniche alterne eravamo in ottantamila al San Paolo ad assistere alle prodezze di Maradona.
Sembravamo una famiglia in un coro di voci. Sul prato verde un capelluto folletto saltellante che sembrava avere in ogni parte del corpo una calamita da pallone e tra le dita un radiocomando per il pallone.  Sono contento che dopo trent’anni si sia conservato questo spirito e questo calore vulcanico, degno del Vesuvio.
Poco dopo entrai in convento e qualche anno dopo partii missionario per l’Africa.
E’ interessante come le partite chiave del Napoli siano state sbloccate da figli di quel Continente: il guianese Diawara con il Chievo e il senegalese Koulibaly con il big match contro la Juve. Sud contro Nord.
L’ Afrique se sauvera” (L’Africa si salverà) recitava una canzone; “l’Africa ci ha salvati” sembrano cantare adesso i tifosi napoletani.
La resilienza è la capacità tipica degli oppressi, di chi sa aspettare, di chi ha tutto da guadagnare e nulla da perdere.
Benedetto XVI paragonava l’Africa a quel viaggiatore derubato e ferito sulla strada di Gerico.
Anche Napoli ha conosciuto il saccheggio per mano dei Piemontesi aprendo la “Questione Meridionale” mai chiusa.
Lasciato l’albergo dove ci ha collocati il buon samaritano del nostro cammino storico, credo sia il tempo e il caso di riprendere il proprio cammino e di raggiungere la destinazione prefissata.
Napoli è una città che conserva il suo fascino fatto di allegria e poesia, filosofia e mistero con una carica di umanità ineguagliabile che ho conosciuto solo in Africa.
Sotterra e dissotterra i suoi figli proprio come nella “Napoli Velata” di Ferzan Özpetek.
Grandi e piccini hanno cantato nella notte magica del 22 aprile 2018 “Sarò con te e tu non devi mollare abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione!”
Nessuno sa se il Napoli diventerà campione d’Italia nel 2018. La certezza è che porterà sempre questo sogno nel cuore e che la città si stringerà sempre intorno alla squadra dello sport più popolare del mondo.
Non si fa il tifo al Napoli perché vince sempre, perché è un club blasonato, perché si è sicuri di proiettare nei successi della squadra la conversione delle proprie sconfitte e frustrazioni.
La squadra, a sua volta, non gioca per il record da palmares fatto di successi consecutivi che annoiano il calcio stesso.
Il Napoli gioca per divertire e per interpretare l’anima più autentica di una città che vuole affrancarsi dall’arte dell’arrangiarsi tipica della commedia della compagnia Scarpetta.
Il successo calcistico recente siglato da “pantere nere” dello sport come Diawara e Koulibaly diventa, come per il recente film hollywoodiano “Black Panther” del supereroe nero, una riscrittura della storia finora affidata nella prima stesura ai vincitori e agli oppressori nei sempiterni accenti miserabilisti.
Come Black Panther il Napoli Calcio è allora il mito di una seducente ambizione che accomuna il Sud del mondo afflitto dai suoi problemi economici e sociali.
E’ un messaggio di speranza e un ulteriore stimolo alla creatività mai assopita.
Ma c’è dell’altro che mi fa riflettere e mi provoca come cristiano e come prete quando vedo l’inquadratura della tifosa sugli spalti che allunga le falange a forma di corna in uno scaramantico gesto ai danni della Juventus e il volto di Kalidou Koulibaly incastonato e fotomontato sull’immagine di un santino.
Il Sud, come l’Africa, è terra di devozioni e di superstizioni, cioè di paure ancestrali. Con i santi del cielo s’ ingaggiano, spesso, vere e proprie trattative sindacali. L’ immaginario popolare è ancora abitato di colpe ataviche, diavoli, inferni e paradisi.
I cattolici del Sud, insomma, sono convinti che il giudizio finale verrà dato sugli atti di devozione e sulle partecipazioni rituali, e non sulle opere compiute…
Attenzione! Dove non c’è fede non c’ è neanche speranza di un futuro migliore!
Ma se davvero ci fosse così tanta fede – come si vede alle feste patronali, alle visite a San Giovanni Rotondo, ai miracoli del sangue di san Gennaro o alla feste di San Rocco – siamo sicuri che il risultato sarebbe tutto questo fatalismo, tutto questo disinteresse, se non disprezzo, per il futuro della propria terra?
Ne faccio quasi ogni giorno l’esperienza a mie spese in una Sicilia che amo e dove attualmente vivo.
Il riscatto del Sud non passa allora per la fede nel Napoli, ma passa per la fede nel Dio Uno e Trino, la fede nel Dio fatto uomo e da Gesù Cristo nella fiducia al prossimo, nella comunione dei santi. Non devoti, ma fedeli.
Quanti chierici sono disposti a intravedere l’ateismo anche laddove c’è devozione e partecipazione rituale?
Il giorno in cui i cattolici meridionali o gli africani crederanno davvero, convinti di dover dare atto della propria esistenza a partire dalle opere compiute, forse non ci sarà più bisogno del Napoli come surrogato di religione.
Al suo posto troveremmo l’algida squadra quotata in borsa al servizio del  soft power geopolitico.
Non so se sarebbe più divertente, ma almeno risponderebbe al classico adagio: “aiutati che Dio ti aiuta” che tradotto in termini teologici significa: “la grazia presuppone la natura e la perfeziona”.

Fra AMAB

 

 

 

 

 

 

Una risposta a “Napoli velata o svelata?”

  1. Bell articolo. Traspira di passione x Napoli e x il popolo napoletano attraverso un bellissimo incontro sportivo.
    Nostalgia x quel grande continente che è l Africa. Un caro saluto

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