Vietato lamentarsi

Molte persone o famiglie in difficoltà mi chiedono spesso se è possibile migliorare, crescere, uscire dalla crisi economica, relazionale, sociale che li affligge e se “le cose possono cambiare”.
La mia risposta di uomo, cristiano e consacrato è decisamente “si!”.
Migliorare è possibile, ma non è automatico.
Bisogna investire in crescita umana partendo dalle scuole primarie ed insegnare ai fanciulli “l’intelligenza della vita”, cioè la capacità di leggere all’interno della storia traendone insegnamenti di vita e risoluzioni pratiche.
Al contrario, se gli adulti continueranno a lavorare per consumare egoisticamente, nessuna crescita sarà mai umanamente possibile.
In questi ultimi giorni la cronaca ci segnala fatti di bullismo nella scuola ai danni non dei compagni, ma dei professori!
Urge dedicare all’intelligenza della vita almeno un anno di insegnamento delle scuole superiori insieme ad una formazione comportamentale specifica. Occorrerebbe che la scuola invitasse più spesso i genitori a fare un confronto con i figli, gli insegnanti e i nonni. Ecco come la scuola può diventare vitale nel suo insegnare ed educare, tra contenuti cognitivi e relazioni affettive, tra nozioni e valori, tra concetti ed espressioni. Fare incontri con insegnanti che amano il sapere e che inducono gli studenti ad accendere il fuoco dentro le loro vite. Piantare semi che diventano alberi rigogliosi; ogni albero con la sua unicità, sapendo che ogni seme ha bisogno dell’humus giusto per germogliare. Per essere felice, ogni ghianda deve diventare quercia. Riuscire a mantenere viva la conoscenza, generando nei ragazzi quel trasporto amoroso verso la cultura vitale che costituisce il più potente antidoto alla droga e allo smarrimento nella vita. Ecco che, in questo caso, si concretizza l’immagine di un’istituzione, quella scolastica, fatta da insegnanti che, con la loro passione, possono accendere il fuoco dentro i ragazzi. Per farlo, c’è bisogno di docenti che amano il sapere e, mentre lo trasmettono, inducono il desiderio del viaggio personale, per trovare la propria vocazione.
Lamenti e piagnistei non servono a nulla.
Papa Francesco ha raccontato in una sua omelia a S. Marta durante l’ottava di Pasqua la storia dei due discepoli di Emmaus che lasciano Gerusalemme dopo la morte del Maestro. Tutti i discepoli hanno paura. Lungo la strada continuano a parlare delle vicende appena vissute «e si lamentavano». Anzi, non cessavano di lamentarsi «e più si lamentavano, – specifica il Papa – più erano chiusi in se stessi: non avevano orizzonte, solo un muro davanti». Dopo tanta speranza, provavano il fallimento di tutto ciò in cui avevano creduto: «E cucinavano –per così dire –cucinavano la loro vita nel succo delle loro lamentele, e andavano avanti così, avanti, avanti, avanti con le lamentele. Io penso tante volte che noi» ha aggiunto il Papa, «quando succedono cose difficili, anche quando ci visita la Croce, corriamo questo pericolo di chiuderci nelle lamentele. E il Signore anche in questo momento è vicino a noi, ma non lo riconosciamo. E cammina con noi. Ma non lo riconosciamo». «E anche se Gesù ci parla» ha proseguito, «e noi sentiamo cose belle, dentro di noi, in fondo continuiamo ad avere paura: sembra più sicuro il lamento! È come una sicurezza: questa è la mia verità, il fallimento. Non c’è più speranza». «È bello» ha sottolineato il Papa «vedere la pazienza di Gesù con i due discepoli di Emmaus: prima li ascolta, poi spiega loro lentamente, lentamente… E poi, alla fine, si fa vedere. Come ha fatto con la Maddalena, al Sepolcro. “Gesù fa così con noi. Anche nei momenti più oscuri: Lui sempre è con noi, cammina con noi e alla fine ci fa vedere la Sua presenza”». Papa Francesco ha messo in luce un elemento: «Le lamentele sono cattive, non soltanto quelle contro gli altri, ma anche quelle contro noi stessi, quando tutto ci appare amaro. Sono cattive» ha affermato «perché ci tolgono la speranza. Non entriamo in questo gioco di vivere dei lamenti» ha esortato il Papa «ma se qualcosa non va rifugiamoci nel Signore, confidiamoci con Lui: non mangiamo lamentele, perché queste tolgono la speranza, tolgono l’orizzonte e ci chiudono come con un muro. E da lì non si può uscire. Ma il Signore ha pazienza e sa come farci uscire da questa situazione. Come è successo ai discepoli di Emmaus che l’hanno riconosciuto quando ha spezzato il pane. Abbiamo fiducia nel Signore, Lui sempre ci accompagna nel nostro cammino, anche nelle ore più oscure, siamo sicuri che il Signore mai ci abbandona: sempre è con noi, anche nel momento difficile. E non cerchiamo rifugio nelle lamentele: ci fanno male. Ci fanno male al cuore».

Fra AMAB

 

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