I vescovi siciliani: “Tutti i mafiosi sono peccatori, convertitevi!”

«Lo dico ai responsabili: Convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio». Sono trascorsi 25 anni dal grido accorato di Giovanni Paolo II pronunciato il 9 maggio del 1993 nella Valle dei Templi di Agrigento per denunciare i delitti della mafia e così condannare apertamente ogni compromesso con la cultura mafiosa. Per questa ricorrenza tutti i vescovi di Sicilia, il 9 maggio, alle 18, hanno concelebrato l’eucarestia ai piedi del Tempio della Concordia. Per l’occasione è stata redatta una Lettera a cura della Cesi (Conferenza Episcopale Siciliana) dal titolo “Convertitevi”. Una «amichevole lettera», così la definiscono i vescovi nel testo, nella quale i pastori siciliani si rivolgono a quanti si sono lasciati raggiungere dalla «presenza pasquale del Signore Crocifisso e Risorto» ma anche a quanti hanno bisogno «di lasciarsi toccare il cuore dalla grazia di Cristo», oltre che «agli uomini e alle donne di buona volontà che vivono e operano per un progresso pacifico e giusto in terra di Sicilia».

La Lettera

Edita per i tipi del Pozzo di Giacobbe di Trapani, la Lettera si apre riproponendo l’appello del Papa e una breve introduzione con il saluto dei vescovi. Poi cinque punti di riflessione: “Quel grido sgorgatomi dal cuore”; “Il timbro profetico dell’appello”; “Il discorso ecclesiale sulle mafie”; Un invito a “prolungare l’eco dell’appello”; e infine “Un’ultima parola da rivolgere tutti insieme al Signore giusto e misericordioso”. Le parole di san Giovanni Paolo II sgorgarono d’impeto dal suo cuore di pastore e ministro del Vangelo, esse hanno portato frutto e sono state incarnate da autentici testimoni di Cristo, come per esempio don Puglisi. Un appello profetico che genera dunque percorsi di conversione e sostiene l’aperta denuncia della mafia come peccato. Un nuovo inizio della stessa riflessione ecclesiale ed ecclesiologica sulla questione mafia, che lasciò maturare l’esigenza di un lessico peculiare con il quale affrontare tale fenomeno insieme all’esigenza evangelica di passare dalle parole ai fatti. I vescovi così rinnovano vigorosamente l’invito alla resistenza cristiana e, per quanti sono immersi nella palude della mafia, alla conversione dei cuori, alla misericordia per quanti si pentono e cambiano vita, sulla scia delle intuizioni magisteriali di Papa Francesco.

L’incoraggiamento del Papa

Proprio il Papa ha inviato il suo personale incoraggiamento ai pastori e ai fedeli siciliani a camminare sulla via tracciata dal beato Pino Puglisi nella lotta alla mafia. Lo ha fatto attraverso un messaggio inviato al cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, letto durante la messa di questa sera. «In occasione del 25° anniversario della visita di San Giovanni Paolo II ad Agrigento, quando al termine della Messa nella Valle dei Templi egli pronunciò la profetica invettiva contro la mafia e l’appello ai mafiosi a convertirsi – si legge nel testo, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin -, il Santo Padre Francesco rivolge il suo fraterno saluto ai pastori e ai fedeli di codesta Chiesa particolare e di tutta la Sicilia, radunati in preghiera e riflessione, e li incoraggia a camminare uniti sulla via abbracciata dal beato don Pino Puglisi e da quanti come lui hanno testimoniato che le trame del male si combattono con la pratica quotidiana, mite e coraggiosa, del Vangelo, specialmente nel lavoro educativo in mezzo ai ragazzi e ai giovani». Francesco assicura anche uno «speciale ricordo nella preghiera per le Chiese di Sicilia e di cuore invia ai fratelli vescovi, ai sacerdoti e all’intero popolo di Dio la sua apostolica benedizione».

Quel grido sgorgatomi dal cuore

Prendendo in esame la Lettera dei presuli, si nota come il testo riprenda le parole del Papa polacco leggendole all’interno del suo terzo viaggio apostolico in Sicilia, nel quale egli ha fatto «riecheggiare l’annuncio gioioso ed esigente del Vangelo» (p. 11) nelle parole pronunciate a braccio al termine della celebrazione del 9 maggio nella Valle dei Templi. Intervento “ispirato” dal saluto finale del diacono: «Andate in pace». «Il Papa parlò, dunque – scrivono i vescovi – per prolungare quell’augurio, spiegando come il popolo siciliano doveva recepirlo e intenderlo: “Carissimi, vi auguro, come ha detto il diacono, di andare in pace e di trovare la pace nella vostra terra”» (p. 12). Un invito alla pace rinnovato in una stagione cruenta per il popolo siciliano. I vescovi ricordano le tante vittime della mafia, una «triste litania, troppo lunga per essere recitata a memoria» (p. 14), di «leali servitori delle istituzioni e non pochi coraggiosi esponenti della società civile» (p. 14) che hanno lottato «contro la morsa di un potere maligno e abusivo».

Perversità che i vescovi hanno descritto indicando con parrésia le azioni concrete riconducibili alle opere della mafia: «ipotecare la vita di intere comunità»; «ricattare le coscienze di tanti e a manipolarne le scelte»; «guadagnarsi con perversi contraccambi l’appoggio di molti altri poteri forti e occulti»; «inquinare la politica e la pubblica amministrazione»; «frenare lo sviluppo economico deviandolo verso finalità illecite e piegandolo a privati tornaconti»; «minare in vari modi la libera convivenza»; «attentare al bene comune, a rubare dai cuori degli onesti la speranza in un futuro migliore». E senza negare che questo potere è stato «capace, finanche, di indurre qualche ministro di Dio, pavido e infedele, a dimenticare il dovere di resistere ad ogni costo a ciò che è contrario al Vangelo» (p. 15).

Quindi i vescovi riprendono le parole del Papa: «E questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, debbono capire, debbono capire che non si permette [si legga: non è permesso] di uccidere degli innocenti. Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare o calpestare questo diritto santissimo di Dio! […] Lo dico ai responsabili: Convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio» (p. 16).

Il timbro profetico di quell’appello

Confesserà Giovanni Paolo II, prima a un gruppo di pellegrini siciliani il 22 giugno del 1995 in udienza in Vaticano, e poi nel novembre del 1995 a Palermo, al Convegno delle Chiese d’Italia: «È stato un grido sgorgatomi dal cuore» (p. 18). Un appello profetico, scrivono i presuli della Sicilia, che a distanza di 25 anni continua ad interpellare e impone una verifica. Una chiave di lettura è stata offerta dallo stesso Wojtyla: «La mafia – precisava ancora il Papa nell’udienza del 22 giugno 1995 – è generata da una società spiritualmente incapace di riconoscere la ricchezza della quale il popolo di Sicilia è portatore» (p. 19). La mafia è peccato. Nasce da «un disastroso deficit culturale», «come un clamoroso tradimento della storia siciliana», «come un’anemia spirituale» e «come un’incrinatura fatale nella virtù religiosa» (p. 20).

I vescovi denunciano ancora una volta apertamente di che peccato si tratta: «Peccato è l’omertà di chi col proprio silenzio finisce per coprirne i misfatti, così facendosene – consapevolmente o meno – complice. Peccato ancor più grave è la mentalità mafiosa, anche quando si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione e in una inestinguibile sete di vendetta. Peccato gravissimo è l’azione mafiosa, sia quando viene personalmente eseguita sia quando viene comandata e delegata a terzi». Le organizzazioni mafiose, continuano i vescovi, sono strutture di peccato che «producono quello che san Paolo chiamava il «salario del peccato», cioè la morte (Rm 6,23), «la morte radicale, che rimarrà – nel momento supremo del giudizio di Dio – inconciliabile con la vita eterna» (p. 23).

Una condanna senza riserve

Il grido di Giovanni Paolo II sortì dei frutti, dei semi di speranza, come quello di padre Pino Puglisi e la sua «resistenza cristiana», che «parve ai mafiosi di Brancaccio un prolungamento – per loro intollerabile – del grido di Agrigento» (p. 23). Tra gli effetti positivi del vigoroso grido profetico di san Giovanni Paolo II i Pastori di Sicilia rilevano la «metamorfosi del discorso ecclesiale sulle mafie» (p. 23) con l’assunzione della mafia come «questione ecclesiale ed ecclesiologica» (p. 24). La mafia interpella la Chiesa nella sua «consistenza storica» e «presenza sociale» e anche a riguardo della «immagine che di sé essa offre» (p. 24).

Il discorso ecclesiale sulle mafie

I Vescovi siciliani con alcune annotazioni indicano gli effetti positivi di questo mutato clima ecclesiale a partire dai pronunciamenti della conferenza episcopale italiana e delle diocesi del meridione. Innanzitutto si è “rotto il silenzio”, si sono «prese le distanze dal silenzio […] ambiguamente mantenuto in pubblico sul fenomeno mafioso» (p. 25). Ma per offrire un reale contributo profetico è necessario riprendere, utilizzare e far risuonare le parole stesse del Vangelo: «Privo di un suo timbro peculiare, il discorso ecclesiale riguardante le mafie rischia così di essere più descrittivo che profetico» (p. 26). Serve dunque «un lessico peculiare» (p. 27) e «una metodologia formativa per piccoli e grandi, per giovani e adulti, per gruppi e famiglie, nelle parrocchie e nelle associazioni, con una sistematica catechesi interattiva, il più possibile “pratica” e “contestuale”». In seno alla Chiesa, i vescovi di Sicilia, auspicano «una conversione dalle parole ai fatti», così come hanno testimoniato padre Pino Puglisi e il giudice Rosario Livatino.

«Dobbiamo accettare la sfida – scrivono i vescovi – precipuamente formativa ed educativa – di risvegliare nelle persone il senso dell’appartenenza ecclesiale». Si riferiscono a quanti “credono di credere” ma poi lasciano convivere la loro appartenenza alla Chiesa per via battesimale con la non partecipazione alla vita ecclesiale. «Questo può essere il caso anche di chi si affilia alle organizzazioni mafiose, pur continuando a farsi quotidianamente il segno della croce e a frequentare la messa domenicale, oltre che le processioni patronali e le riunioni confraternali, senza però avvertire in tutto ciò alcuna contraddizione» (p. 32).

Ma l’obiettivo resta quello della conversione, perché «il Signore “è misericordia e opera meraviglie nelle nostre miserie”», scrivono richiamando il magistero di Papa Francesco, e «quando ci confessiamo accade l’inaudito: scopriamo che proprio quel peccato, che ci teneva distanti dal Signore, diventa il luogo dell’incontro con Lui. Lì, il Dio ferito d’amore viene incontro alle nostre ferite. E rende le nostre misere piaghe simili alle sue piaghe gloriose» (p. 33).

Un’altra sfida è quella della purificazione e valorizzazione della pietà popolare: «Non possiamo tollerare che le festività di Cristo Gesù, di Maria Madre sua e dei suoi santi degenerino in feste pseudo-religiose, in sagre profane, dove – nella cornice di subdole regie malavitose – all’autentico sentimento credente si sostituiscono l’interesse economico e l’ansia consumistica, e dove non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia» (p. 37).

Prolungare l’eco dell’appello

La Lettera si chiude con un rinnovato appello che di fatto prolunga quello offerto da Giovanni Paolo II venticinque anni prima. I Vescovi si rivolgono ai familiari delle vittime di mafia, alle persone credenti e di buona volontà, agli uomini e donne di mafia. A questi ultimi, con «tono sereno e serio» i Vescovi ribadiscono l’invito alla conversione e lo integrano aggiungendo pure l’appello dell’udienza del 21 febbraio 201 di Papa Francesco: «Aprite il vostro cuore al Signore. Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie» (p. 41). E infine quello del martire Puglisi dell’omelia del 20 agosto 1993, nella chiesa parrocchiale di San Gaetano, a Palermo: «Mi rivolgo ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono a ostacolare chi cerca di educare i vostri figli al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile».

Giovanni Chifari per “Vatican Insider/La Stampa”
Agrigento

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