DOMENICA DELLA PAROLA (Omelia)

OMELIA DELLA XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B

Siano lodati Gesù e Maria!

Cari fratelli e sorelle la Chiesa celebra oggi la Giornata della Parola.

E’ la risposta della nostra comunità all’invito di Papa Francesco a conoscere, amare e diffondere la Bibbia.

Una grande grazia e un grande impegno che s’iscrive nel percorso sinodale intrapreso dal 2015 con i Frati Francescani dell’Immacolata preposti alla guida e cura pastorale della parrocchia di San Rocco in Calderà.

Attraverso la Sacra Scrittura, mantenuta viva dalla fede della Chiesa, il Signore continua a parlare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere, perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti.

La parola rivela, porta ad espressione, il nascosto.

Il Dio nascosto ha parlato all’uomo mediante la parola creandolo nella sua relazione con il Tu.

Prima ancora di essere un parlante, l’uomo è un uditore della parola.

Nell’avere la parola è compreso tutto ciò che la parola implica e, quindi, la capacità di ascoltare e di ricevere, nonché la capacità di rivolgersi.

Pertanto, è caratteristico dell’uomo non solo il poter dire qualcosa, ma anche l’avere qualcosa da dire.

Sia la Prima Lettura odierna, tratta dal Libro dei Numeri, che il Vangelo secondo Marco, al capitolo 9, ci presentano la dinamica di chi vuole dire qualcosa perché ha qualcosa da dire, vuole profetizzare, vuole guarire, vuole agire in nome di Dio pur senza l’investitura concessa dall’appartenenza a un gruppo ristretto.

Nella risposta di Mosé prima e poi di Cristo che è la Parola stessa di Dio che ha preso carne, siamo illuminati sulla natura e sulla missione della Chiesa che nella Costituzione Conciliare Lumen Gentium ci ricorda l’appartenenza dei battezzati al Regno di Dio, un regno che però non si esaurisce con essi.

Il Regno di Dio è fatto da chi lo accoglie.

Non possiamo dire noi allo Spirito Santo chi è credente e non.

L’espressione “non è dei nostri” è estranea allo Spirito Santo.

L’Amore è per la comunione.

La gelosia di Giosuè per Mosé si addice più ad un atteggiamento adolescenziale in cerca di omologazioni all’interno di un clan di bulli che alla dinamica della verità ricercata, vissuta e annunciata.

Ricercare, vivere e condividere sono quindi i tre elementi della vita e vitalità dell’autentico cristiano.

La parola, rispondendo ad un bisogno profondo, libera l’uomo dalla sua prigionia spirituale che lo condanna alla morte dello spirito.

La parola che ci fa dire «io sono» e «tu sei» è la Parola che ci chiama ad essere e a cui ci rivolgiamo nella preghiera, la forza che ci fa dire Tu a Dio e che in Lui ci immette nella relazione giusta con gli altri tu.

In tal caso, la parola è il segno distintivo della spiritualità, ciò che è capace di porre la vita spirituale nell’uomo.

Lo spirituale è intrinsecamente espressivo, relazionale, comunicativo.

La spiritualità dell’uomo risulta, pertanto, intimamente e inscindibilmente legata al linguaggio.

Il filosofo prussiano Johann Georg Hamann, da buon critico dell’illuminismo e della dialettica kantiana affermava che «l’essenza invisibile della nostra anima si manifesta mediante parole».

Il tormento della nostra epoca pertanto è proprio la crisi comunicativa ovverosia la caduta della parola secondo quanto afferma il pensatore austriaco Fernando Ebner.

È la solitudine la mortale malattia dello spirito del nostro tempo.

Essa è mortale, in quando le fonti della comunicazione sono esaurite e lo spirituale nell’uomo non riesce più a farsi strada nella vita.

Diversamente non si spiegherebbe il successo di un’opera come Radio Maria, né l’efflorescenza di chi cerca in ogni modo di autorivelarsi e dialettizzare attraverso i social network.

La parola inflazionata e abusata, tuttavia, genera un’altra colossale svista relazionale e culturale: la perdita di ogni rispetto del linguaggio e di ogni fiducia nella parola, in quanto espressione dello spirituale che è nell’uomo.

Alla verità si sostituisce la menzogna, la fake news, che fa regredire l’uomo fino all’incapacità dialogica.

Alla dialettica si oppone la polarizzazione molto presente oggi nel dibattito non solo politico e sociale fatto di accuse e insulti, ma anche nel contesto ecclesiale che vive una sorta di 11 settembre, come direbbe qualcuno.

Gli attacchi al pontificato di gruppi tradizionalisti che si credono più cattolici del papa e che pontificano su tutto e su tutti senza autorità deontologica ed epistemologica rappresentano una caricatura dello spirito, una caricatura di Eldad e Medad che profetizzavano nell’accampamento di Mosé e una caricatura dei guaritori ai tempi del Messia che invocavano il nome del vero guaritore, Gesù Cristo, accanto a quello di Salomone e dei profeti suscitando la stizza di Giovanni.

La polarizzazione, la violenza verbale sterilizza il dialogo.

L’uomo privato del linguaggio non può più comunicarsi a un altro e capirsi con lui.

Alla perdita della parola si accompagnerebbe, quindi, la perdita dell’amore, che è, per Ebner, la parola nella sua più pura estrinsecazione.

Morto l’amore, verrebbe meno l’uomo, in quanto essere spirituale, ossia l’uomo nelle sorgenti stesse della sua umanità.

La civiltà dell’amore auspicata dal prossimo santo papa Paolo VI deve costruirsi sulla base del profetismo: parlare di Dio a un mondo secolarizzato e parlare con Dio nella dimensione più alta dell’attività umana che è la contemplazione, la preghiera.

Max Scheler affermava che l’uomo è tale perché ha la parola, pervenendo a formulare così i tratti di una nuova antropologia e di una nuova etica.

L’usata e abusata espressione di “Chiesa in uscita” andrebbe intesa come dinamica missionaria capace di dialettizzarsi con il mondo contemporaneo perché i cristiani hanno sempre qualcosa da dire e non sono degli arroccati.

Checché se ne dica la recente apertura diplomatica della Santa Sede con la Cina in un assetto geopolitico globale in costante e rapida evoluzione nasce dall’autorevolezza di un pontificato che ha fatto della dialettica e della prossimità il suo modus operandi.

Parola è Colui che si fece carne e venne a mettere le tende tra di noi, il Cristo storico, e, solo in quanto fondata in Lui, diventa esperienza di mediazione efficace fra Dio e l’uomo e degli uomini fra di loro.

In Cristo, il Logos, il Verbo incarnato, ciò che prima era inafferrabile, il qadosh (il separato) diventa il Dio totalmente rivolto verso l’uomo.

Ciò che era separato, ciò che era altro, si fa, quindi, prossimo.

Giovanni chiama incarnazione e Paolo kenosi, ossia “l’abbassarsi di Dio” fino a noi.

La Parola-Cristo istituisce prossimità. Dio non è uno spettatore distaccato e distante.

È, semmai, l’uomo a renderlo tale nelle forme religiose ridotte a elucubrata dottrina o a ipocrita precettistica.

Nel momento in cui la parola dell’uomo si rivolge seriamente a Dio, anche Dio parla all’uomo.

Il significato stesso della fede si gioca intorno a questo fondamentale punto.

La vita dello spirito, quindi, comprende in sé ed esige un rapporto personale con Dio ed è la possibilità stessa che Dio ha creato e voluto nell’uomo, di chiamarlo direttamente, quando prega, come Padre.

Questo rapporto personale, vivo, attuale è la fede, ma ogni forma di fede è nel suo ultimo e definitivo fondamento una fede nella parola.

E’ per questo che la religione autentica e la parola devono procedere assieme: «Il fatto che l’uomo ha la parola e il fatto che l’uomo ha la religione, dal punto di vista spirituale è la stessa e medesima cosa. Come il linguaggio così anche la religione è qualcosa che risulta posto in maniera immediata nell’uomo.

Solo il Cristianesimo istituisce il rapporto reale con Dio, in quanto Tu dell’uomo.

La Parola di Dio si rivolge direttamente alla concreta personalità nell’uomo e sapersi da essa interpellati significa letteralmente arrivare in tal modo alla concrezione della propria personalità.

La parola è il punto di concrezione dell’umanità, ciò che rende concretamente uomini.

Franz Rosenzweig affermava che il linguaggio come comunicazione è il sigillo dell’umanità nell’uomo.

Beati coloro che come Maria ascolteranno la Parola di Dio e la metteranno in pratica dopo averla custodita e meditata nel cuore, sacro incrocio tra coscienza e volontà.

 

Siano lodati Gesù e Maria!

 

Alfonso Maria Angelo Bruno FI

 

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