I religiosi sono Chiesa locale?

A conclusione della Celebrazione Eucaristica svolta nella cattedrale di Messina per la festa della vita consacrata lo scorso 1 Febbraio 2019, P. Orazio Anastasi – come delegato per la vita consacrata – ha rivolto all’arcivescovo la domanda sibillina: “I religiosi sono Chiesa locale?”

Ho voluto approfondire il tema alla luce dell’ecclesiologia ma anche della prassi all’interno della comunità diocesana in particolare e della Chiesa in generale.

In un elemento di risposta mi è venuto in aiuto lo stesso Mons. Giovanni Accolla quando ha voluto stimmatizzare in quella stessa celebrazione “il tedio e la distanza che tanti pastori vivono non solo nell’ambito del gregge loro affidato ma anche e purtroppo all’interno della famiglia presbiterale”.

Gli incontri formativi o le giornate di ritiro all’interno del clero, secolare e regolare, sono occasioni privilegiate per esprimere la dimensione ecclesiologica della Chiesa e testimoniare la fraternità sacerdotale: unità nella diversità intorno al Pastore.

Il disimpegno in questo senso ricorda la parabola di Gesù sugli invitati alle nozze del re (cfr. Lc. 14, 16-24).

La vita consacrata ha una “specifica vocazione alla vita di comunione nell’amore” e con la sua forma di vita deve essere nella Chiesa segno di comunione.

La relazione tra vita consacrata e Chiesa particolare va vissuta sempre non in modo conflittuale né nella reciproca indifferenza o diffidenza, ma in un mutuo, necessario riferimento e arricchimento.

Lo sottolineava già S. Giovanni Paolo II nell’esortazione post sinodale Vita consecrata: “Molto possono contribuire i carismi della vita consacrata all’edificazione della carità nella Chiesa particolare” (VC 48). Più avanti ribadiva che l’inserimento dei consacrati nella Chiesa particolare può costituire un importante incentivo “ad accrescere il proprio impegno di contemplazione e di preghiera, a praticare più intensamente la condivisione comunitaria e l’ospitalità, a coltivare con maggiore diligenza l’attenzione alla persona ed il rispetto per la natura” (VC 79).

Anche il seguente testo dei nostri Vescovi ha evidenti ricadute pastorali:
«Una parrocchia che valorizza i doni del Signore per l’evangelizzazione, non può dimenticare la vita consacrata e il suo ruolo nella testimonianza del Vangelo. Non si tratta di chiedere ai consacrati cose da fare, ma piuttosto che essi siano ciò che il carisma di ciascun istituto rappresenta per la Chiesa, con il richiamo alla radice della carità e alla destinazione escatologica, espresso mediante i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Questa forma di vita non si chiude in se stessa, ma si apre alla comunicazione con i fratelli. Ogni parrocchia dia spazio alle varie forme di vita consacrata, accogliendo in particolare il dono di cammini di preghiera e di servizio. Ne valorizzi le diverse forme, riconosca la dedizione di tante donne consacrate, che nella catechesi o nella carità hanno costruito un tessuto di relazioni che continua a fare della parrocchia una comunità».

La vita consacrata è quindi risorsa preziosa per la cattolicità della Chiesa particolare proprio perché appartiene indiscutibilmente «alla vita e alla santità» della Chiesa.

Questa condizione obiettiva, tuttavia, responsabilizza i religiosi, impegnandoli ad essere fedeli a questa prima loro missione, correggendo ed eliminando tutto ciò che può attenuare o affievolire l’effetto attraente di questa loro immagine, rende oltremodo ambíta e preziosa la loro presenza nella Chiesa particolare, antecedentemente a ogni ulteriore considerazione. […]

Chi guida e anima una parrocchia come Pastore inviato dal Vescovo in nome di Cristo, deve essere attento a tutta la vita di ogni cristiano, di ogni famiglia, di ogni gruppo e di tutto il popolo di Dio che una parrocchia intende servire e raggiungere come presenza viva della Chiesa (o comunità di Cristo) in un territorio.

Pertanto il parroco, prima che religioso (che esprime un determinato carisma o dono di Cristo alla Chiesa: educazione, preghiera, studio della Parola, cura dei malati, ecc), è e deve vivere la sua chiamata di Sacerdote che si fa Pastore di una comunità e di una Chiesa inserita in un contesto di vita e in un determinato territorio.

Come scrive il p. Y. M. Congar, «da puramente esteriore e sociologica l’idea di cattolicità ridiventa interiore e cristologica».

La riscoperta della cattolicità quale dimensione essenziale della Chiesa è una delle principali prospettive dell’ecclesiologia conciliare.

Ma qui nasce una prospettiva nuova e davvero arricchente per la Chiesa : le parrocchie affidate ad un religioso dovrebbero essere affidate non tanto a un singolo sacerdote ma ad una comunità che viva il suo carisma nell’interno di quella Parrocchia e con quella gente che in quel territorio fa crescere al Chiesa di Cristo, stimolata così a vivere a e a far vivere quel determinato carisma o dono dello Spirito che il suo Parroco (con la rispettiva Comunità religiosa di appartenenza) dona a quella comunità parrocchiale.
Si è così ricuperata una dimensione qualitativa della cattolicità, che valorizza meglio le diversità. Ciò ha portato alla rivalorizzazione della Chiesa particolare, quale ambito adeguato in cui le peculiarità umane e culturali possono essere assunte dal Vangelo.

La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere riguarda la vita interna del loro istituto, la loro relazione con gli altri istituti e le altre forme di consacrazione, i laici e i pastori.

Il compito è arduo: richiede persone spirituali forgiate interiormente dal Dio della comunione amorevole e misericordiosa e comunità mature dove la spiritualità di comunione è legge di vita.

Certo non è semplice … e non è sempre ricercato questo ideale di Chiesa che si arricchisce veramente e nel concreto dei carismi della vita religiosa testimoniati dal parroco religioso e rispettiva comunità di appartenenza, ma la Chiesa in una società globalizzata e interculturale, analizzando i più recenti documenti e discorsi del Papa e dei suoi Dicasteri, sta camminando proprio verso questo ideale.

Fra AMAB

 

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