Francesi feriti ma uniti nel nome della loro Madre

Notre Dame brule

Alle 18:00 di Lunedi 15 Aprile 2019, inizio della Settimana Santa, una nuvola di fumo si alza nel cielo di Parigi, residenti e turisti restano increduli: l’incendio proviene dalla cattedrale di Notre Dame. Il rogo parte dai cantieri dei restauri, il tetto è in fiamme e crolla la guglia, simbolo della chiesa più visitata del mondo.

I francesi, in lacrime, cantano l’Ave Maria e applaudono i vigili del fuoco.

Nella notte la dichiarazione del presidente Emmanuel Macron: “La ricostruiremo, tutti insieme”. E all’alba continuano i lavori per raffreddare la struttura.

Non fu la Rivoluzione Francese, nemmeno Napoleone Bonaparte, nemmeno la rivoluzione giovanile guidata da Sartre e tampoco i bombardamenti nazisti a distruggere una delle chiese più visitate del mondo. È un semplice incendio…

La cattedrale di Notre-Dame è il principale luogo di culto cattolico di Parigi.

Eretta nel XIII secolo dopo 300 anni di lavori, in meno di un’ora ha visto la sua parte superiore ardere e disintegrarsi come la bella guglia che è crollata in fiamme.

Già ferita dai recenti fatti di terrorismo, Parigi continua ad immortalare le suo sciagure nei telefonini dei tanti turisti e nelle telecamere dei giornalisti.

L’evento non mi lascia indifferente per l’affetto che nutro verso questa capitale dove misi piede sin dall’età di quindici anni per ritornarci quasi a cadenza annuale e dove ho esercitato il mio ministero sacerdotale per un mese, conoscendola forse anche meglio di Roma.

Ho celebrato la S. Messa più volte a Notre Dame e ho anche alloggiato nella sua casa canonica ai tempi dell’allora parroco don Yves Riocreux diventato successivamente vescovo di Pontoise e poi di Basse-Terre sull’isola caraibica di Guadalupe.

Era sempre uno spettacolo suggestivo vedere questo simbolo cristiano sull’Ile de la Cité (l’isolotto del centro) come se preservato dalle frenesie di una città mondana e secolarizzata con la quale tuttavia è collegato grazie ai tanti ponti della Senna, segno di quell’ininterrotto dialogo della Chiesa con la storia e con il mondo.

Malgrado il notevole afflusso di turisti, le spesse mura della cattedrale silenziavano il chiasso e spegnevano la dissipazione parigina.

Varcato uno dei tre portali monumentali sotto l’ampio rosone d’ingresso, venivi invitato ad alzare lo sguardo verso la volta crociata e le enormi superfici vetrate che sfruttavano al massimo i rari raggi solari di tardivi tramonti di estati nell’Europa del Nord.

Benché ricostruita e restaurata più volte come presto ha dichiarato il lapidario Vittorio Sgarbi, lapidato però dai commenti sui social, Notre Dame è una leggenda che integrerà nella sua storia quanto di comunque non irreparabile gli è occorso verso il secondo decennio del terzo Millennio.

Mentre le campane di Parigi suonavano per l’incendio di ieri sera ho pensato al romanzo del mio “amico” Victor Hugo e al deforme campanaro di nome Quasimodo, detto “il Gobbo di Notre Dame”.

La fede cristiana in Francia è un po’ zingara come Esmeralda, l’altro personaggio del romanzo: odiata e amata, avversata e salvata, trova sempre chi è disposto a morire per lei.

Nel romanzo pubblicato nel 1831, Hugo descriveva una grande fiamma che si scatenava sulla cattedrale: in realtà non si trattava di un vero e proprio incendio, ma di un escamotage del gobbo di Notre Dame per distrarre i malavitosi.

Una descrizione sorprendente dell’incendio della cattedrale di Parigi quello immaginato dallo scrittore francese Victor Hugo nel suo romanzo «Notre Dame de Paris» (1831), descritto con l’incipit: «Il clamore era straziante». «Tutti gli occhi si erano alzati verso la sommità della chiesa, ciò che vedevano era straordinario. In cima alla galleria più elevata, più in alto del rosone centrale, c’era una grande fiamma che montava tra i due campanili, con turbini di scintille, una grande fiamma disordinata e furiosa di cui il vento a tratti portava via un limbo nel fumo».

E’ un paradosso che nella laica Francia le forze vive della nazione trovino coesione introno a una chiesa in fiamme, simbolo di come si possa rinascere dalle ceneri se si riaccende piuttosto la fede nel Risorto, monumento di antica civiltà e costruttore di un’Europa dal laicismo bigotto che manda al rogo la sua storia.

Ancora lo scrittore francese Victor Hugo criticava aspramente lo stato di degrado della cattedrale di Parigi nel romanzo che gli avrebbe dato il successo eterno, con l’obiettivo di riuscire a far partire i necessari restauri per fermarne la rovina. «Il tempo è cieco e l’uomo è stolto», scrisse. E come monito aggiunse: «Se avessimo il piacere di esaminare una ad una le diverse tracce di distruzione impresse sull’antica chiesa, quelle dovute al tempo sarebbero la minima parte, le peggiori sarebbero dovute agli uomini»…

 

Fra AMAB

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