Come S. Rocco in marcia verso Maria

La notte tra il 13 e il 14 settembre la nostra parrocchia ha vissuto la tradizionale esperienza del pellegrinaggio a piedi alla Madonna del Tindari.
Un percorso della durata di sei ore di cui l’ultimo tratto  denominato “la coda della volpe” particolarmente scosceso e faticoso.
S. Giovanni Paolo II affermava che l’uomo non può pensare alla propria vita se non come a un pellegrinaggio.
Non è importante la meta, ma il cammino.
Quando si va verso un obiettivo, è molto importante prestare attenzione al cammino.
È il cammino che ci insegna sempre la maniera migliore di arrivare e ci arricchisce mentre lo percorriamo.
Lungo il cammino si scopre che chi nel mondo non crede in Dio è perché non ha esperienza del sacro, perché non fa silenzio ed ha troppa fretta.
Verso il mistero si va lentamente, camminando piano, a ritmo umano.
Le persone giungono sempre al momento giusto nei luoghi in cui sono attese.
Ad accoglierci non una persona qualunque ma la Vergine Maria che sul calvario della fatica fisica ci ha condotti al Figlio Gesù.
Il nostro santo patrono Rocco di Montpellier è stato un pellegrino per eccellenza.
Ha trasformato lo spazio e il tempo in opportunità di santificazione riempendolo di carità orante verso Dio e operante verso il prossimo.
Un pellegrino, lo riconosci, ti dicono. Non sono le scarpe impolverate, lo zaino pieno di tasche, i cappelli a falde larghe, a svelare i chilometri fatti a piedi. È lo sguardo dritto che fissa la meta. Lo stordimento, dopo lunghi campi e sentieri di campagna attraversati in silenzio, fino all’arrivo al Tindari.
Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia. Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario.
Il pellegrinaggio è un simbolo che prima che parlare a te, parla in te, ti intriga, ti evoca, ti spinge più che a dire, a dirti, ad implicarti, a metterti in gioco.
Camminare per ritrovare se stessi, per dialogare col Signore, per incontrare tanti “altri” e condividere con loro la fatica, il fango, il sole, la pioggia, un sorso d’acqua, una preghiera, una risata. Il “cammino” è anche questo e tanto altro.
Il cuore dell’uomo di oggi è ancora pellegrino dell’eterno diceva don Primo Mazzolari.
Pellegrini verso l’eterno: lo siamo tutti e tutti dobbiamo accettare questo viaggio come il dono più grande.
Quando si viaggia, si sperimenta in maniera molto più concreta l’atto della Rinascita. Ci si trova dinanzi a situazioni del tutto nuove, il giorno trascorre più lentamente e, nella maggior parte dei casi, non si comprende la lingua che parlano gli altri. E’ proprio quello che accade a un bambino appena nato dal ventre materno. Con ciò si è costretti a dare molta più importanza alle cose che ti circondano, perché da esse dipende la sopravvivenza. Si comincia ad essere più accessibili agli altri, perché gli altri ti possono aiutare nelle situazioni difficili. E si accoglie qualsiasi piccolo favore degli dei con grande gioia, come se si trattasse di un episodio da ricordare per il resto della vita.
Nello stesso tempo, poiché tutte le cose risultano nuove, se ne scorge solo la bellezza, e ci si sente più felici di essere vivi. Ecco perché il pellegrinaggio religioso è sempre stata una delle maniere più obiettive per riuscire ad avvicinarsi al Signore.
Non siamo arrivati. Ora c’è il cammino dentro di noi. Quello che abbiamo fatto è propedeutico, ma poi c’è la strada decisiva, che porta al cuore delle persone, dove vengono fatte le scelte più importanti.
Dice infatti il poeta libanese Kahlil Gibran:
“Vedrai che tutto sarà meraviglioso, quando giungerai alla fine del tuo pellegrinaggio, e lo sarà anche agli occhi di colui che mai vide bellezza”.

Fra AMAB

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