La Domenica dei “servi inutili”

Riflessioni sulla XXVII Domenica  T.O. Anno C

La Liturgia della Parola odierna nel Vangelo di Luca ci parla dei “servi inutili”.
E’ un’espressione tanto scandalosa quando provocatoria perché il servizio, quello vero, non è mai inutile.C’è un canto religioso intitolato “Servo per amore” che si riferisce con chiarezza a Gesù e al ministero sacerdotale.
Forse l’inutilità del servizio è resa tale dall’ingratitudine di chi lo riceve o dall’improduttività dell’azione.
Cristo in questa parabola vuole insegnarci ad affrancarci proprio dalla schiavitù del risultato o della gratificazione personale che cela in molti casi quel peccato antico e sempre nuovo della superbia.
Esiste tuttavia un significato più profondo del “servo inutile” che parte dall’approfondimento logico, esegetico e teologico delle parole di Gesù.
La parola greca usata da Luca è: a-kreioi, che significa “che non cercano vantaggi”, che non si aspettano un utile, che non lo rivendicano. Allora il senso diventa: quando avete fatto tutto dite “siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza esigenze”.
Siamo servi che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi.
Non di pesare i risultati, non di contare gli applausi o la carriera.
Ho bisogno di vivere una vita dedicata, a me, agli altri, al creato.
Per la bellezza di farlo.
Fedor Dostoevsky dice: “La vita realizzata è quando lavori per le cose che ami e ami le cose per cui lavori”.
Madre Teresa di Calcutta ripeteva alle sue donne, miracolo vivente di coraggio e fede: “nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore metti in ciò che fai”.
E’ il servizio che è vero, non i suoi risultati; “i morenti che abbiamo raccolto per le vie di Calcutta non si salveranno, ma nessuno deve morire senza essere stato amato”.
La nostra esistenza non è solo e sempre raccogliere, ma seminare; non è arrivare ma partire. “Il tempo è superiore allo spazio” ci ricorda Papa Francesco.
Partire ad ogni alba, seminare ad ogni stagione.
Ricorderete la visionaria immagine di don Tonino Bello: “vorrei una
chiesa con il grembiule”.
Ma noi tutti, a cominciare da me, preferiamo i paramenti dorati del sacerdote al povero grembiule del servo, la toga dell’inquisitore alla tuta del lavoratore.
Eppure vorrei diventare lavoratore dei campi del mondo, servitore che non ha padroni eppure è servo di tutti, in una globalizzazione non del denaro, oggi che il Fondo Monetario Internazionale è un nome nuovo di Dio, in una globalizzazione invece dell’inchino e della cura dovuta ad ogni uomo, perché questo è il solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che pianta oasi di verde nel nostro deserto, che semina giustizia nelle nostre società.
Il servizio è allora il nome segreto della civiltà. L’ho appreso da sant’Agostino: servum te faciat caritas quia liberum te fecit veritas (la verità ti ha fatto libero, adesso l’amore ti faccia servo).
Servire non per premio o per castigo, come i bambini; non per sanzioni o per ricompense, come i paurosi, ma per libero amore, forza trascinante della vita.
Servi inutili sono quelli che osano la vita. Osare la vita è non aver paura di essere portatori di ideali e protagonisti di un sogno; sapendo che questo ci farà soffrire e forse morire: da Gesù a Martin Luther King, da Gandhi a Madre Teresa, da Massimiliano Kolbe a Mandela, da padre Puglisi a Don Peppe Diana, tutti sono stati portatori di un sogno e hanno pagato per questo,  ma il loro sogno ha cambiato la vita di tanta gente e soprattutto ha rimesso in piedi tanta gente.
Il loro sogno come fuoco ha rischiarato la notte che teneva prigionieri tanti uomini, ha acceso milioni di altri sogni e alla fine si è fatto realtà.
Stupenda incredibile realtà.
Giuseppe, figlio di Giacobbe, fu venduto dai fratelli perché “sognava”…
Era il preferito del padre e furono accecati per questo di gelosia disprezzando i suoi doni che anni più tardi salveranno l’Egitto e lo stesso Israele.
Spesso chi ci circonda, anche in famiglia, ti dicono: “ma chi te lo fa fare? Fai come tutti gli altri, fatti furbo!”
In questi casi non scoraggiatevi, non lasciate cadere le braccia; sentitevi, invece, lusingati quando vi parleranno così, perché sarà il segno che non state vivendo una vita banale.
Osare la vita significa venire alla luce, significa rompere il guscio che ci
protegge, la bambagia che ci avvolge, per vivere in pienezza il proprio giorno su questa terra. Significa rinunciare a farsi trasportare dalla corrente delle mode e scegliere, rischiando in proprio, che cosa mettere nella scatola vuota dei propri giorni. Ricordate che la vita non si misura in lunghezza, ma in spessore.
E sono poche le cose che danno spessore alla vita. Facciamo allora qualcosa, mettiamo in piedi qualcosa, un’opera un progetto un seme un granellino un respiro un niente pieno d’amore, per chi non ce la fa, per i numerosi  “Giobbe” di questa terra.
Tu puoi! Osa!
“Abbi le mani belle”, come dice un detto africano. Che qualcuno ti possa dire: stupende hai le mani.
In un mondo che parla il linguaggio del profitto, parla la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, scegli di prendere la mulattiera della pace; in un mondo che si uccide in nome dell’etnia, scegli di essere fratello o sorella di ogni uomo; in un mondo che ha paura delle differenze e di chi è diverso, scegli di sentirti ricco delle differenze, orgoglioso della diversità di cui ognuno è portatore.
Gli altri, i concreti, gli incapaci di sogno, quelli che hanno sempre i piedi per terra, quelli che rideranno dei vostri ideali e che vi inviteranno ad essere come loro, perché di voi avranno paura, prima o poi, come diceva Don Tonino Bello, verranno a mangiare il pane dei vostri sogni, siatene certi: è già accaduto.
In fine ci chiediamo: “Essere servitore, ma perché?”
Perché Dio è il primo servitore della vita. E io sono a sua immagine e somiglianza. Io servo perché Gesù è il servo, il Servo sofferente vaticinato dal Trito Isaia.
Un Servo che ha scelto la sofferenza, il mezzo più scandalosamente inutile, improduttivo, inefficace che è il dolore, per guarire le nostre ferite. 
Eppure è dalla sofferenza che deriva la sua grandezza.
Se la nostra società dell’apparire e del consumo capisse il valore di questa diaconia, che è la sofferenza, la storia cambierebbe.
Non staremmo più a dibattere sull’eutanasia o sul suicidio assistito…
A coloro che dicono che bisogna avere i piedi per terra, ricordate che se i piedi sono fatti per restare per terra, la testa quella no, essa è fatta per restare in alto.
I profeti quando annunciano qualcosa di grande dicono: alza il capo e guarda! Alzare il capo.
E poi andare nel mondo, gravidi del sogno di Dio!
E’ la domenica dei servitori senza pretese, che non lavorano per la ricompensa. Anche noi ora nell’incontro tra la grandezza Vangelo e la nostra povertà, domandiamo a Dio un cuore libero e coraggioso come Maria.
Da qui la preghiera conclusiva: “Che il Signore ci aiuti ad aprire il cuore e a lasciare lavorare lo Spirito Santo, perché tolga da noi questi ostacoli, soprattutto la voglia di potere che fa tanto male, e la slealtà, la doppia faccia”, e ancora “ci dia questa serenità, questa pace per poterlo servire come figlio libero che alla fine, con tanto amore” dice al Signore: «Padre, grazie, ma tu sai: sono un servo inutile».

Fra AMAB

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