ASIA: Il momento della grande opportunità per l’evangelizzazione

Il cristianesimo in Europa conosce una fase di declino riconducibile alla cultura individualista areligiosa.I papi Benedetto XVI e Francesco ne hanno preso atto ma con due approcci pastorali diversi:
di fronte alla notte che avanza, il primo si preoccupò di preservarne integro il nucleo nell’area protetta o cenacolo chiuso delle minoranze creative quale postmoderna versione del Sacro Speco benedettino; il secondo ha invece ipotizzato di trasferirne altrove il centro gravitazionale, coerente con la sua doppia natura di gesuita e di perito chimico. Non solo esploratore ma sperimentatore.
Le Chiese cristiane in tutto il mondo hanno preso coscienza del fatto che il XXI secolo è veramente il secolo dell’Asia.
Bergoglio ha condensato in cinque anni cinque secoli di missione, per non restare fuori dall’area che conta, dove si perde o vince la partita della globalizzazione: una fabbrica e un trend ascendente che nel 2050 nella sola Cina esprimerà il 50 per cento del PIL mondiale, a dispetto del fatturato spirituale, fermo attualmente in Asia – e drammaticamente – a uno sparuto, timido tre per cento di battezzati. Frazione marginale quanto emarginante ma esaltante e invitante per le sfide dell’evangelizzazione che come fu per l’Africa nascono proprio dove le condizioni di apostolato sembrano ostiche.
Dopo i memorabili viaggi apostolici in Corea del Sud, Filippine, Sri Lanka, Birmania e Bangladesh, includendo Turchia, Armenia, Georgia e Azerbaigian, fino al recente viaggio in Tailandia e in Giappone è evidente come si concentri dall’Asia la grande scommessa missionaria del Papa venuto dal Nuovo Mondo che registra finora il primato anagrafico dei cristiani.
Non è un caso se il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli di fresca nomina sia il giovane cardinale Antonio Tagle, filippino ma di origine cinese.
Parlare di Asia significa oggi più che mai riconoscere il ruolo centrale e strategico della Cina sia da un punto di vista geopolitico che religioso.
Nel Dopoguerra la novità della Chiesa fu la legittimazione ed esaltazione della democrazia.
Si trattava di un modello politico forse poco consono all’organizzazione di governo della stessa Curia Romana, ma dal Vaticano II in poi rappresentò un chiaro allineamento a favore del modello statunitense in guerra (fredda) con il blocco sovietico e i paesi dell’Est asiatico che ne riprodussero l’ideologia marxista-lenilista inculturata da Mao Zedong e spinta alla brutalità da Pol Pot.
Papa Montini alla scuola di Maritain auspicava un deciso processo di democratizzazione dei popoli Decenni più tardi, durante l’era dei Bush, gli USA ne fecero la priorità in politica estera giustificando il warfare della filosofia bellica di Karl Von Clausewitz.
Sulla cattedra di Ratisbona anche l’allora astro teologico nascente Joseph Ratzinger esaltò le qualità della democrazia mentre il suo predecessore al pontificato, Giovanni Paolo II venuto dall’Est europeo oppresso dal giogo comunista, ne fece una riuscita priorità dell’agenda del suo pontificato.
Se la democrazia rappresentava lo standard imprescindibile di modernizzazione della politica, l’apologo-epilogo di un cattolicesimo progressista che l’ha rincorsa si rivela oggi inadeguato nel contesto del secolo asiatico, dalla sponda del Golfo alla costa del Mar Giallo.
Forte della sua formazione da religioso gesuita e affrancato dalle ingessature della corte curiale romana, Papa Francesco ha intuito quello che dev’essere l’approccio giusto con la Cina.
Non limitandosi a indossare un abito culturale sul modello del precursore gesuita Matteo Ricci, ma immedesimandosi ancora di più e integrandolo con l’habitus mentale di una classe dirigente che respinge la litigiosità perenne dei moderni sistemi occidentali, dialettici e competitivi, Bergoglio cerca l’armonia, come un balsamo emolliente spalmato sulle piaghe e fra le pieghe di una storia che altrimenti non si lascia sfogliare, lenire, capire… “quell’armonia che ama tanto lo spirito cinese”. Slogan riecheggiato in due Angelus nel maggio 2016 e 2017, durante i messaggi augurali per la festa della Vergine di Sheshan.
Come Wojtyla delineò in ambito europeo l’esigenza vitale, per la Chiesa, di respirare da Est e Ovest, pena il sottrarsi e venire meno alla propria natura universale, così Bergoglio avverte lo stesso senso di asfissia spirituale del Papa polacco proiettandolo però al di là degli Urali e dell’Amur in una riedizione su scala planetaria della teoria dei “due polmoni”.

Fra AMAB

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