Il Cantico dei Cantici secondo Benigni?

Spettacoli di massa come il Festival di Sanremo risvegliano la sindrome da hybris greca.
La tentazione non ha risparmiato Roberto Benigni accompagnato processionalmente sul palco dell’Ariston da suoni di tromba e rimbombi di grancassa.

Il tema scelto per giustificare un cachet da 300 mila euro è stato geniale: il Cantico dei Cantici (CdC) al festival della canzone italiana.
La sacralità del libro lasciava ben sperare nell’opportunità di una riflessione sull’amore che non è stata completamente disattesa.
Le interpretazioni personalizzate del suo monologo, tuttavia, hanno svilito l’insieme allo stereotipo della pornologia e dell’ideologia gay.
Il Cantico dei Cantici, dall’ebraico שיר השירים (sir-hassirim) che è l’intraducibile superlativo di cantico, è un testo poetico-sapienziale dell’Antico Testamento risalente a 2400 anni fa di 1250 parole ebraiche suddivise in 17 versetti.
Nel linguaggio del corpo, l’essere una sola carne, esprime il segno visibile della partecipazione dell’uomo e della donna all’alleanza della grazia e dell’amore offerta da Dio la cui espressione è già in Genesi 2,23-25.
Nel Cantico due giovani esprimono in versi il loro reciproco desiderio e il loro amore con una carica erotica molto forte da ambito nuziale o da wasf arabo, canto cioè che esalta la bellezza corporea.
Lui e lei, senza un nome proprio ma con un vago riferimento alla pace (Shalom) e alla persona pacificata (Sulammita) rappresentano tutte le coppie che, nella storia, ripetono il miracolo dell’amore.
I Padri della Chiesa sia in Oriente che in Occidente si cimentarono a commentare il Cantico dei Cantici e più tardi i mistici del XVI secolo come Teresa d’Avila e Giovanni della Croce fecero altrettanto.
Testo emarginato dalla Liturgia della Parola festiva ma prepotentemente rientratovi con il Rito del Matrimonio, armonizza l’allegoria alla lettera parlando dell’amore di Dio verso l’uomo facendo dell’amore della coppia la sua icona visibile.
Il tema scelto da Benigni si è rivelato geniale e promettente; sembrava capace di riconciliare il corpo con lo spirito dopo millenni di divorzio. La cultura occidentale, infatti aveva ereditato il greco soma – sema che considerava il corpo tomba dell’anima.
Il corpo è segno fondamentale della persona umana e da questo ne deriva la sua sacralità.
i resti mortali, benché consegnati al sepolcro, come il seme nascosto nel terreno conosceranno la resurrezione finale dal germoglio dell’albero della vita che è la croce di Cristo.
Dall’angelismo di alcuni ambienti medievali, però, si è oggi passati all’adorazione abusiva del corpo. Il burqua occidentale è infatti la chirurgia estetica delle donne per nascondere la loro identità e consegnarla a modellini di catalogo per naso, labbra, zigomi e mammelle taglia 8 come quelle delle wags adeguatamente rappresentate allo stesso festival.
Sin dal primo capitolo della Genesi emerge la bipolarità sessuale: maschio e femmina (Dio) li creò…
L’amore dell’uomo per il suo uomo o della donna per la sua donna, di cui parla Benigni, sono estranei alla tradizione biblica.
Benigni ha inoltre saltato un anello fondamentale della relazione umana.
Al primo livello c’è la sessualità che è un dono di Dio. La sua considerazione sdoganava secoli di tabù e di archetipi pregiudizievoli che fino ad oggi alimentano voluttuose curiosità tipo “il sesso dei preti”.
Al secondo livello c’è l’eros come scoperta, sentimento, bellezza, fantasia, creatività, gioco degli occhi, dell’incontro, sensazioni…
Benigni non è riuscito ad andare oltre perché non ha considerato, occupato com’era in personali e gratuite considerazioni di simboli fallici e fellici, l’amore come donazione.
Non è passato dall’oggetto al soggetto quale salto di qualità indispensabile per stabilire una sincera liturgia dell’amore.
Anche il cantico della carnalità è un cantico dell’amore umano e … divino!
Nell’amato che romanticamente giace sul seno dell’amata non c’è nessun burlesco riferimento architettonico alle cupole della chiesa di cui parla Benigni, ma alle due economie della rivelazione scritturistica in quell’ininterrotto dialogo di amore tra il Creatore e la creatura: Antico e Nuovo Testamento.
Non di solo pane vive l’uomo, ma anche di Parola, di dialogo, di quella relazione che il neonato che viene alla luce ancora balbettante incontra nell’allattamento materno.
Le due mammelle di cui ci parla il Cantico sono un segnale verso l’Oltre e verso l’Altro, verso l’eternità e l’Eterno, con una finezza di linguaggio tenero e delicato che sfugge alla grossolanità volgare.
Benigni fa una panacea tra sesso, eros ed incontri di pelle tanto immediati quanto superficiali che sfuggono alla lunga avventura dell’amore e degli amanti che si cercano, si perdono e si ritrovano nei vicoli della loro storia.
Cristo non relega il matrimonio al ritualismo del mondo ebraico ma chiama beati i poveri in spirito e i puri di cuore consapevole che l’amare è una componente permanente e strutturale della persona come lo è la paternità e la maternità: “Io dormo, ma il mio cuore veglia” (CdC 5,2) .
C’è infine un particolare che l’esegesi bonista e superficiale del Benigni non considera nel Cantico dei Cantici: le scene di notturno.
Nell’originale ebraico, quando il lenzuolo dell’oscurità si cala sulla città, l’amata non rinuncia a ricercare il suo amato. Sfida la violenza e i rischi presenti come groviglio di serpenti anche nella vita sordida delle nostre metropoli di notte.
Se è vero che Dio ha creato l’Eden, il primo giardino, non è a caso che la prima città l’ha creata Caino.
Eppure, nel buio che sembra occultare persino la pelle, la Sulammita è consapevole della sua bellezza raggiante: nigra sum sed formosa (sono nera ma bella).
E’ un riferimento mariano, è la risposta più totale e adeguata dell’umanità alla divinità che è quella di Maria nel “Sì” dell’Annunciazione. Come luna rispende nella notte poiché attinge e riflette luce dal sole di Cristo che rende la sua pelle scura, abbronzata e bella.
Dopo il notturno la scena del Libro si riapre sul mattino in un giardino.
Anche se nella vita si è feriti in amore come la Sulammita alla quale strappa le vesti la stessa ronda della città, anche se nella vita la donna è violentata, non è finita la sua esperienza d’amore da celebrare con la persona che il suo cuore cerca.
I due amanti finalmente si possono incrociare e incontrare nel giardino ricco di specie esotiche di pianti e fiori nel richiamo della lingua semita che alterna la vocale “i” che significa il mio e l’identità femminile con la vocale “o” che rappresenta il suono di lui: אהובי הוא לי ואני אליו
(Il mio amato è a me e io a lui).
La donna nel finale fa una professione d’amore dichiarando di essere messa come sigillo sul braccio e sul cuore.
Lungi da paragoni con la provinciale moda dei tatuaggi di cui parla Benigni, il riferimento è ai tefillin ebraici, cioè ai due piccoli astucci quadrati confezionati dal cuoio di un animale kasher, cioè puro, che gli Ebrei usualmente portano durante la preghiera del mattino chiamata Shachrit.
Alla luce del nuovo giorno i due innamorati si ritrovano.
L’esperienza dell’amore umano non è banale, né scontata. Richiede una continua riconquista prima di essere fissata per sempre da un dardo di fuoco che il Cantico definisce per la prima volta “la Fiamma del Signore” inestinguibile anche se sommersa da tutte le acque del pianeta perché “l’amore è forte come la morte”, cioè fa nascere e rinascere.

Fra AMAB

2 risposte a “Il Cantico dei Cantici secondo Benigni?”

  1. Grazie Fra AMAB di questa spiegazione evocatrice di sensazioni di amore e tenerezza …poteva essere invitato lei a Sanremo!
    La gente non capisce più niente, anche i cosiddetti illuminati… che forse non riflettono abbastanza sul fatto che la Luce dell’Illuminazione non viene dai riflettori del palco della vita!
    Viene, almeno questo io penso…,
    dall’Anima, che profondamente e intimamente compenetrata nel Corpo dell’uomo, non può che nascondersi se questo Corpo è così svilito in una vita senza Dio e cioè, citando lei, senza Amore come Donazione.
    Io non frequento la religione come rito ma Credo
    Se non ci fosse qualcosa di meraviglioso a essere Vita Spirito Dio Natura Universo, allora sarebbe
    suggeribile un suicidio di massa senza timore di sbagliare…drastica NO!
    Un po’ delusa e confusa dalla Via scelta dall’uomo di questi tempi
    … grazie ancora…
    Natalia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *