Il Carnevale può essere cristiano?

 In questo 2020 non si svolgerà a Venezia il celebre Carnevale.
Sono le disposizioni che il Comune ha adottato per evitare la propagazione del virus COVID-19 che non ha risparmiato il Veneto.
Il disagio che la nuova emergenza sanitaria globale arreca alla vita sociale ed economica di cittadini e Paesi si inserisce bene nella storia del Carnevale che rappresenta la drammatizzazione del caos cosmico e sociale.
Sia nelle antiche religioni pagane che in Israele o in India si celebrano forme di carnevale con lo stesso significato attribuibile nel nostro Occidente cristiano.
I Romani durante i Saturnali scioglievano temporaneamente gli obblighi del convivere civile e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.
A Babilonia, dopo l’equinozio primaverile, veniva ripresentato il processo di fondazione del cosmo, descritto miticamente dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si concludeva con la vittoria del primo.
Gli Ebrei celebrano i cosiddetti Purim memoria delle vicende che portarono alla salvezza del popolo dallo sterminio in Persia progettato da Haman: una storia raccontata dal libro di Ester. A Purim in Israele e nelle comunità ebraiche sparse in giro per il mondo ci si maschera, un modo per celebrare il totale capovolgimento della sorte di un intero popolo e si vuole sottolineare il ruolo nascosto che Dio ha avuto nella vicenda. In India Holi è la festa induista che si tiene in primavera ed è contrassegnata dal divertimento puro. Va di moda anche in alcuni party dei nostri giovani nei quali è usanza sporcarsi il più possibile con polveri colorate per simboleggiare il desiderio di rinascere sotto altra forma, pieni di vita.
Sia in quanto rappresentazione del caos cosmico che in quanto drammatizzazione del caos sociale il Carnevale interagisce fortemente con la sfera spirituale-religiosa, di cui comunque postula l’esistenza. Nel primo caso (il passaggio dal caos al cosmo) è evidente il riferimento all’intervento divino, con cui è necessario rinnovare periodicamente un dialogo fecondo: alla luce di queste premesse non sarebbe una forzatura considerare il Carnevale una festa religiosa a tutti gli effetti. Nel secondo caso (caos sociale), riconoscere alla festa le funzioni di contestare, sospendendo o addirittura sovvertendo certe norme sociali nonché le autorità che di queste sono garanti, pur arrivando a dar vita a eccessi in campo alimentare e sessuale, s’iscrive tuttavia in un perimetro in cui Stato e Chiesa hanno l’ultima parola perché anche i comportamenti più spinti sono previsti e confinati in confini spazio-temporali delimitati dalla tradizione: in ultima analisi servono a ribadire la necessità di un ordine unitario sia pure idealmente nuovo o quanto meno rinnovato che trova la propria legittimazione nelle autorità civili e in quelle religiose.
Tra Carnevale e Cattolicesimo il processo di reciproca accettazione non fu breve né facile. Si usa individuare nel 1468 una data spartiacque quando Papa Paolo II rampollo di una nobile famiglia veneziana amante della cultura e della buona cucina, volle indire solennemente il Carnevale nella città di Roma mettendo fine a secoli di ostilità. Da allora maschere, musiche e balli divennero definitivamente le cifre del nostro Carnevale che fino ad oggi col turismo, gli eventi di spettacolo e l’indotto di maschere e costumi rappresenta una risorsa economica stagionale importante.
Nel 1974 il brillante teologo Joseph Ratzinger che trent’un anni più tardi diventerà Papa Benedetto XVI spiegava che l’origine del carnevale è senza dubbio pagana: culto della fecondità ed evocazione di spiriti. La chiesa dovette insorgere contro questa idea e parlare di esorcismo che scaccia i demoni i quali rendono gli uomini violenti e infelici. Ma dopo l’esorcismo emerse qualcosa di nuovo, completamente inaspettato, una serenità demonizzata: il carnevale fu messo in relazione con il mercoledì delle ceneri, come tempo di allegria prima del tempo della penitenza, come tempo di una serena autoironia che dice allegramente la verità che può essere molto strettamente congiunta con quella del predicatore della penitenza. In tal modo il carnevale, una volta sdemonizzato, nella linea del predicatore veterotestamentario può insegnarci: “C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere…” (Qo 3,4)».

Fra AMAB

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