Malattia e religiosità

Già nel Medioevo, con il progressivo sviluppo degli scambi commerciali nei nascenti comuni e la novità di una società più dinamica di quella feudale, si dovette pensare a un sistema di assistenza ai malati.

La fede cristiana era in quel tempo l’elemento identitario e culturale della popolazione europea e si esprimeva anche nei pellegrinaggi di lungo raggio, fino alla Terra Santa.

Il fenomeno accelerò molto la vita sociale di chi prima aveva dovuto difendersi dalle invasioni barbariche, ma presto altri nemici ben più furtivi e letali costituirono una minaccia per le popolazioni del Vecchio Continente che videro le malattie di pochi trasformarsi in grandi epidemie infettive.

I microrganismi erano sconosciuti e la medicina si arrendeva di fronte alla morte senza la pretesa di poter sempre guarire.

La cultura cristiana, di cui la società dell’epoca era intessuta, sviluppò tuttavia il concetto di cura medica.

La medicina contemporanea che, malgrado i suoi sviluppi tecnico-scientifici, diagnostici e terapeutici rimane impotente di fronte ancora a tante malattie di origine virale o tumorale, sta seriamente prendendo in considerazione quel modello nel rapporto fiduciale medico-paziente.

Se non sempre dalla malattia si poteva guarire, sempre bisognava prendersi cura dell’ammalato.

Il paziente era assistito moralmente e gli veniva alleviato il dolore per quanto possibile, così come succede oggi nei cosiddetti hospice dove vengono prodigate le cure palliative.

Nel Medioevo ospedali e lazzaretti avevano questo scopo ed i religiosi, non a caso, assumevano per amore di Dio e del prossimo un ruolo attivo in queste strutture.

Oltre all’azione di volontariato caritativo i monaci sperimentavano le proprietà medicinali delle erbe.

Anche il genio femminile fu degnamente rappresentato da Santa Ildegarda da Bingen le cui ispirazioni in fatto di medicina naturale conservano la loro validità.

Dal Rinascimento in poi ci fu una progressiva scollatura tra la medicina e il malato poiché la scienza si rinchiuse nei laboratori a discapito della visione interdisciplinare e applicata che esisteva precedentemente.

La medicina fece sicuramente notevoli progressi sul piano meramente tecnico, ma perse di vista la finalità comunitaria e sociale di un tempo.

La religiosità durante malattia ed epidemia ha invece resistito alla prova del tempo manifestando le sue caratteristiche di sempre: incremento di fede in Dio, devozione e fiducia nella Madonna, invocata come Salute degli infermi e ricorso ai santi, specie a quelli che si distinsero per il loro eroismo a favore di malati contagiosi.

Un personaggio di rilievo, forse il principale, è S. Rocco di Montpellier.

Invocato contro la peste, soccorritore e infermiere generoso, divenne popolarissimo in tutta Europa dal Trecento in poi.

I cattolici cinesi sono ricorsi alla sua intercessione non appena è esploso il caso del Covid-19.
Una crescente parte di letteratura medica suggerisce che la fede religiosa e la spiritualità possono aiutare le persone a mantenere e recuperare sia la salute psicologica che quella fisica. 
Le persone ammalate iniziano a farsi domande circa la morte, il significato e lo scopo della vita; domande che prima della malattia non si sarebbero poste.
la fede religiosa può essere annoverata fra le strategie di coping (gestione dello stress) poiché non solo consente alla persona di dare un senso alla malattia, ma le permette di mantenere un atteggiamento positivo e di affrontare la malattia in modo attivo e speranzoso, senza subirla.
La fede religiosa fa bene anche ai caregiver (le persone che assistono il paziente).
In uno studio sulla psiconeuroimmunologia (Pni) persino sui caregiver dei pazienti con malattia di Alzheimer o con cancro in fase terminale, quelli con una forte fede religiosa personale e con molti contatti sociali erano più in grado di fronteggiare lo stress derivante dal prendersi cura di qualcuno per un periodo di due anni.
Avere grazie alla fede un atteggiamento positivo sul futuro aiuta le persone affette da problemi fisici a rimanere motivate nella guarigione e riduce nelle popolazione degente le forme di depressione fino al tasso di mortalità!

Si nasce, si cresce, si matura e alla fine si muore.

In questo costante divenire la religione viene incontro ai sentimenti di smarrimento perché ribalta completamente il significato che si da alla vita terrena. Si riesce a intravedere un cammino ulteriore nell’aldilà. Certo anche i credenti temono la morte, ma l’aspettativa di una vita ultraterrena esorcizza l’insensatezza del morire, che viene accolto come un evento di passaggio.
Lo sguardo è proiettato in avanti, è ancora viva una progettualità, che vede nella promessa della vita eterna anche una riparazione a tanti torti, alle tante ingiustizie subite e alla malattia letale che non vince in modo assoluto e definitivo.

Fra AMAB

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