Caterina da Siena, una donna pura e dotta

 Il 29 aprile è il giorno della morte e della festa liturgica di Caterina da Siena.
Il nome in greco significa “donna pura”.
Il libro e il giglio sono le “icone” di santa Caterina da Siena.
Richiamano la dottrina e la purezza, “virtù” che accompagnano la mistica toscana vissuta nel Trecento che aveva descritto Cristo come un ponte gettato tra il Paradiso e la terra.

 Una similitudine a cui la religiosa domenicana si affida nel Dialogo della Divina Provvidenza, capolavoro della letteratura spirituale che con l’Epistolario e la raccolta delle Preghiere ha fatto sì che venisse proclamata dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970 per volontà di Paolo VI, sette giorni dopo Teresa d’Avila. E 80 anni fa, nel 1939, Pio XII la volle patrona d’Italia con Francesco d’Assisi perché considerata «a buon diritto il decoro e la difesa della patria e della religione».
«Messaggera di pace» l’aveva definita Giovanni Paolo II che la volle compatrona d’Europa anche per quel suo continuo peregrinare nel continente che aveva l’intento di sollecitare la riforma interiore e l’unità della Chiesa assieme alla riconciliazione tra gli Stati. E sempre papa Wojtyla la chiamò «mistica della politica» per sottolineare la sua attenzione alla cosa pubblica contrassegnata anche da forti moniti. Ricordava la consacrata che il potere di governare è un «potere prestato» da Dio e invitava a essere «uomini giusti» non «passionati né per amor proprio e bene particolare, ma con bene universale fondato sulla pietra viva Cristo dolce Gesù».
In Caterina il genio femminile ha trovato un suggello che le assicurò un ruolo di primo piano nella comunità ecclesiale del tempo: infatti, ad esempio, fu chiamata dal Papa a predicare ai cardinali in Concistoro.
Semianalfabeta, non andò mai a scuola; eppure sarebbe diventata una prolifica autrice di scritti dalla «sapienza infusa», dalla «lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede», spiegò Paolo VI proclamandola dottore della Chiesa. Benché i genitori intendessero darla in sposa già a 12 anni, Caterina Benincasa, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate (per l’abito bianco e il mantello nero). Trasformò la sua stanza in una cella dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, soprattutto verso i poveri e i malati. Da sola imparò a leggere; poi anche a scrivere. E la stanzetta si fece cenacolo di una “bella brigata” di seguaci. Li chiamavano “Caterinati”. E, come ha sottolineato Benedetto XVI, «fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma».
Al centro di un «matrimonio mistico» con Cristo che le donò un anello, ricevette le stimmate. Nella spiritualità della patrona d’Italia rientra anche il dono delle lacrime che, osservava Ratzinger, «esprimono una squisita, profonda sensibilità e la capacità di provare commozione e tenerezza». Papa Francesco aveva invitato a pregare santa Caterina da Siena al termine dell’udienza generale del 29 aprile 2015. La sua esistenza – aveva sottolineato Bergoglio – faccia comprendere a voi, cari giovani, il significato della vita vissuta per Dio; la sua fede incrollabile aiuti voi, cari ammalati, a confidare nel Signore nei momenti di sconforto; e la sua forza con i potenti indichi a voi, cari sposi novelli, i valori che veramente contano nella vita familiare».
Lo ha fatto ancora oggi per raccomandare all’intercessione della santa l’Italia e l’Europa la vittoria contro in coronavirus.
 
Fra AMAB

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