Privacy ed etica al tempo delle pandemie

 Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza“. (Benjamin Franklin)

La cosiddetta Fase – 2 della pandemia da COVID -19 permette un progressivo ripristino delle attività sociali e lavorative al fine di non far implodere la società sul piano socio-economico e naturalmente psicologico.
I Governi si sono attrezzati, con l’aiuto delle multinazionali dell’elettronica e delle telecomunicazioni, per monitorare i cittadini qualora fossero portatori del virus e quindi riconsegnare la scelta del distanziamento alla volontà del singolo e al buon senso comune.
L’Italia è forse in proporzione il primo paese al mondo per numero di smartphones superiore al numero degli abitanti residenti.
Le proprietà di questi dispositivi che il mediologo McLuhan avrebbe definito “protesi elettroniche” o prolungamento tecnologico della nostra spazialità personale, permettono la geolocalizzazione dell’utente.
Nella società iperconnessa, l’indirizzo IP, la triangolazione delle antenne di trasmissione per i cellulari, alcune app  come quelle per la meteo, mappe e parcheggio basate sul rilevamento GPS, rendono impossibile il nascondersi.
Oltre alla rappresentatività del set di dati relativi all’ubicazione che esclude a priori fasce sociali a basso reddito e anziane che magari non possiedono smartphones, la geolocalizzazione dell’infettato non basta per allontanare soggetti biologicamente a rischio o lasciare tranquillamente interloquire con tutti i guariti già immunizzati.  
E’ necessario intanto che il controllo sia esteso e incrociato il più possibile con tutti coloro che interagiscono con il quarantenato, virtuoso o temerario che possa essere.
Questo pone interrogativi sulla limitazione degli scopi o del non riutilizzo dei dati sulla posizione dopo che la pandemia è terminata.
Sappiamo infatti che i dati precisi sulla posizione sono legalmente sensibili.
Premessa l’inviolabilità del diritto alla privacy, nella maggior parte delle giurisdizioni attualmente esistenti, i dati sulla posizione sono trattati come una categoria speciale di dati soggetti a maggiori protezioni, come elevati standard di sicurezza e il requisito del consenso espresso affermativo.
Operatori di telefonia mobile, titolari di sistemi operativi (iOS-Apple o Android-Google) App e partner di app hanno in mano una quantità enorme di informazioni sui nostri usi e costumi di ogni giorno.
I dispositivi connessi emettono informazioni identificative che consentono di essere tracciati, anche quando non sono attivamente connessi a una rete. Ciò include i telefoni cellulari (quando il Wi-Fi o il Bluetooth sono attivi), ma anche altri dispositivi Internet of Things (IoT) come fitness tracker, giocattoli intelligenti o veicoli. Di conseguenza, molti aeroporti, stadi e negozi fisici (alcune note catene di boutique di marchi di lusso) analizzano questi dati di segnale per capire meglio quando sono le ore più trafficate, dove si trova il traffico pedonale più elevato in negozio, in quali prodotti i clienti mostrano interesse o in che modo le persone lunghe stanno aspettando in fila.
All’ uso commerciale dei privati, lo Stato può servirsene in via precettiva per un’attività giudiziaria.
Da un punto di vista etico e pratico  è assolutamente importante chiedersi come il criterio che stabilisca quali dati sulla posizione classificati come legalmente “sensibili” presentino sfide per un’efficace “anonimizzazione” che appare improbabile.
Poiché i dati sulla posizione sono sensibili e difficili da “disidentificare” vi è una seria preoccupazione che una volta raccolti da un’agenzia sanitaria pubblica per il monitoraggio della pandemia, potrebbero essere conservati o utilizzati per altri scopi.
I ricercatori o le agenzie dovrebbero disporre di politiche e procedure chiare che descrivano gli aspetti operativi e tecnici della gestione dei dati.
Mentre COVID-19 continua a diffondersi, ci troviamo di fronte sfide globali per le norme esistenti e le migliori pratiche per la raccolta e l’utilizzo dei dati.
La questione dei dati prima che tecnica, sanitaria o politica è squisitamente e preminentemente etica. Abbiamo bisogno di un’etica per navigare nella Fase 2 che ci si apre davanti per evitare le perigliose rotte degli effetti indesiderati o, tornando a Franklin, per non scambiare valori e diritti fondamentali per un po’ di sicurezza a breve termine.

Fra AMAB

 

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