Dignità umana e indegnità mediatica

Le studentesse rapite in Nigeria da Boko Haram e costrette alla conversione

L’analisi della comunicazione istituzionale nei suoi contenuti e negli strumenti mediatici impiegati, rivela la vitalità e la creatività di una proposta politica o viceversa le sue qualità opposte.

Gli schieramenti esistenti nel nostro Paese non riescono purtroppo a gioire allo stesso modo nemmeno per il rilascio della giovane italiana Silvia Romano dopo diciotto mesi di sequestro in Africa Orientale.

Il rallentamento dell’emergenza sanitaria da Covid-19 e il successivo confronto con l’emergenza socio-economica sono il nuovo momento propizio per esercitare persuasione sull’elettorato sfruttando l’elemento emotivo che nasce dalle incertezze sul futuro.

E’ evidente inoltre che alla carenza di idee, surrogate da messaggini Twitter, si sopperisca in propaganda con la spettacolarizzazione di un successo e viceversa con il sabotaggio dello stesso da parte dell’opposizione, forse la peggiore d’Europa a quanto mi dicono con scherno diversi amici osservatori dall’estero.

Esiste tuttavia un rischio e un limite che lo spin doctor accorto dovrebbe considerare oltre le regole deontologiche del comunicatore: la reazione e controreazione del singolo e dell’opinione pubblica.

E’ finita l’era della massa informe manipolabile ma è aumentata purtroppo la quantità dei soggetti dissociati e ideologizzabili.

In questi casi la persona con il suo valore, il rispetto dovutole, la dignità propria o altrui viene diluita in un processo di tribalizzazione e cannibalizzazione.

Essere virtuosi infatti richiede fatica, un atteggiamento che stride con la logica della pancia e con la violenza della dittatura della mediocrità.

L’atteggiamento virtuoso di un’Italia generosa durante la pandemia, dove ha rivelato la ninfa delle sue radici contadine cattoliche, di un mondo operaio solidare, di un liberalismo raffinato, rischia oggi di trasformarsi  nello specchio riflesso di un’involuzione culturale fatta di ignoranza di ritorno, irrazionalità e cattiveria diffusa che mette sul banco degli imputati la Seconda Repubblica con tutti i suoi avvicendamenti nell’altalena tra centro destra e centro sinistra degli ultimi decenni.

Questa mattina la Procura di Milano ha aperto un fascicolo per minacce e insulti sui social contro Silvia Romano.

Il caso limite è quello di Nico Basso consigliere “venetista” di Asolo (TV) che ha postato su Facebook una foto di Silvia Romano e sotto ha scritto “impiccatela”.

Vittorio Sgarbi sul suo social ha scritto: “va arrestata per concorso esterno in associazione terroristica… o si pente o è complice dei terroristi” (sic).

Ornella Vanoni su Twitter ha scritto: “Se Silvia Romano era così felice, convertita, sposata per sua scelta, ma perché l’avete liberata?”

Inesattezze a parte, sono giudizi che si commentano da soli e che diventano un boomerang senza ritorno per chi utilizza notoriamente questi politici, istrioni e cantanti.

L’italiano medio è noto per passare facilmente dall’approvazione all’indignazione con voti e consensi elettorali che una volta persi non torneranno.

L’oggetto della controversia, oltre all’opportunità del pagamento del riscatto (di cui ho già scritto) riguarda la conversione all’islam della volontaria milanese.

Siamo nella sfera del privato, qualcuno ha parlato non a torto di Sindrome di Stoccolma che coinvolge una giovane connazionale che merita rispetto per essere liberata dal trauma esistenziale subito.

Silvia è una ragazza dalla mente duttile, abituata sin dal suo quartiere popolare di Milano alla diversità multiculturale e religiosa nello spazio urbano abitato da molti immigrati.

Le foto scattate con i bambini che la ritraggono nei costumi kenioti indicano la sua propensione ad inculturarsi con facilità e rapidità propria della sua età, ma anche di un retaggio esistenziale e culturale molto aperto.

Esistono poi dei profili psicologici di persone che adottano “la scelta degli opposti” rinunciando a tranquillità e comodità, specie se deluse o disturbate dal sistema in cui credevano: il cristiano che si fa musulmano (o viceversa), il chierico che prende moglie o il fidanzato che si fa frate, il ricco che si fa povero e l’operaio che si fa padrone.

Da missionario in Africa mi sono confrontato sia con le persone che fanno volontariato, sia con le vittime di atteggiamenti coercitivi.

Nel secondo caso si tratta di situazioni raccapriccianti.

Una giovane del Ciad mi ha raccontato della cosiddetta “prigione islamica”.

All’interno di un clan familiare musulmano, quando una ragazza si converte al cristianesimo, qualora il papà protettore dovesse morire, può succedere che venga confinata dai perfidi zii o cugini in una stanza con i ceppi ai piedi. Le catene passano alle mani se la ragazza non fa progressi di conversione o rieducazione.

Questa persona giovane ha mostrato i segni sui polsi e sulle caviglie ancora presenti a distanza di anni.

Solo nel momento in cui la persona cede alle pressioni di conversione recitando a memoria in arabo qualche sura del Corano viene liberata.

Silvia era merce troppo preziosa per essere maltrattata dai sequestratori, ma serviva ai terroristi anche per scopi propagandistici.

La ragazza che ha rifiutato le comodità di un sistema è diventata pubblicità per il sottosistema di un sistema denominato Al-Shebaab (il partito dei giovani).

Il gruppo islamista in cambio di armi e tangenti è noto per smaltire rifiuti nucleari e tossici dei Paesi occidentali.

E’ una storia vecchia per lo sventurato Corno d’Africa. Nel 1994 la giornalista RAI Ilaria Alpi venne assassinata in un’imboscata col cameraman Miran Hrovatin proprio per aver scoperto questo traffico … dall’Italia!

Quando non bastano le tangenti ai fondamentalisti, rimane l’attività di pirateria e qualora diventasse rischiosa per le scorte armate, resta il sequestro del personale occidentale, i cosiddetti Walking Money, “denaro che cammina”.

Gruppi come Al-Shebaab devono recuperare il consenso dei somali essendo mal tollerati per la loro interpretazione wahhabita rigorista del Corano. Hanno bisogno di soldi per rappresentare un’alternativa alla carestia e all’insicurezza alimentare per la popolazione.

Silvia voleva proprio rispondere alla logica di chi – opponendosi assolutamente all’immigrazione -sostiene che gli africani vadano aiutati nel loro Paese.

E’ un’alternativa ai ragazzi che non vogliono finire l’università, rimangono fino a trentacinque anni in casa con i genitori, preferiscono il lavoretto in nero per poche centinaia di euro al mese per pagarsi la discoteca e lo spinello. Giovani morti dentro, uccisori di futuro e di speranze.

Silvia Romano ha scelto come nome islamico quello di Aisha.

Aisha significa in italiano “viva”. E’ quello che la giovane avrà sperato, per cui ha pregato: rimanere in vita.

E’ il nome della giovane moglie di Maometto. Aisha nel 626 d.C fu sospettata di adulterio per le supposizioni di Ali, cugino del Profeta. Maometto non ripudiò Aisha e da quella controversia si arrivò alla progressiva separazione tra sunniti e sciiti.

Una di noi è tornata a casa. Dobbiamo tutti rallegrarcene senza assumere l’atteggiamento del fratello maggiore del figliol prodigo. Un antipatico guastafeste.

Millequattrocento anni dopo, l’umanità non ha ancora cambiato la mentalità d’infilare l’occhio nel  buco dell’altrui serratura pur essendo la porta della conoscenza aperta a tutti.

 

Fra AMAB

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