IN PRINCIPIO E’ LA TRINITA’

La Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui devono scaturire l’etica del contadino e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell’economia, le ragioni che fondano l’impegno per la pace e gli orientamenti di fondo del diritto internazionale.Una delle cose più belle e più pratiche messe in luce dalla teologia in questi ultimi anni è che la SS. Trinità non è solo il mistero principale della nostra fede, ma è anche il principio architettonico supremo della nostra morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una dottrina da contemplare, ma un’etica da vivere. Non solo urta verità tesa ad alimentare il bisogno di trascendenza, ma una fonte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane.

Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua non certo per accontentare le nostre curiosità intellettuali, quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega le tre persone divine. Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano un solo Dio.

Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere così intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l’uomo nuovo: Cristo Gesù. Sicché l’essenza della nostra vita etica consiste nel tradurre con gesti feriali la contemplazione festiva del mistero trinitario, scoprendo in tutti gli essere umani la dignità della persona, riconoscendo la loro fondamentale uguaglianza, rispettando i tratti caratteristici della loro distinzione.

C’è da aggiungere, poi, che nel cielo le ricchezze proprie di una persona divina sono così trasferibili dall’una all’altra (c’è, potremmo dire, un così intenso scambio culturale tra Padre, Figlio e Spirito), che la teologia per indicare questo fenomeno ha dovuto coniare un’espressione forse un po’ difficile per i non addetti ai lavori, ma estremamente significativa: la comunicazione degli idiomi.

Ebbene, l’imperativo etico che ne deriva per coloro che vivono sulla terra è che se tengono sotto sequestro le proprie risorse spirituali o materiali senza metterle a disposizione degli altri, non possono esimersi dall’accusa di appropriazione indebita. Possiamo concludere, allora, che il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze.

Che significa?

Nel cielo, più persone mettono così tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità, che a loro rimane intrasferibile solo l’identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente l’essere Padre, l’essere Figlio, l’essere Spirito Santo. Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé solo ciò che fa parte del proprio identikit personale. Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità delle differenze. Definizione più bella non possiamo dare. Perché siamo andati a cercarla proprio nel cuore della SS. Trinità.

Le stesse parole che servono a definire il mistero principale della nostra fede, ci servono a definire l’anelito supremo del nostro impegno umano.

Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l’equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze, appunto.

Ma c’è di più: la vita trinitaria del cielo non è solo un modulo da rovesciare sulla terra perché gli uomini ne vivano le esigenze radicali con uno sforzo di imitazione fine a se stessa.

La Trinità, cioè, non è solo un archetipo da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno avremo la sorte dì sederci, all’unica condizione che anche sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno alla stessa mensa della vita.

Dopo che sulla terra ci saremo impegnati a essere una sola cosa nel Cristo, divenuti ‘Figli nel Figlio’, prenderemo posto ‘per ipsum, cum ipso et in ipso’ al tavolo della Santissima Trinità.

Come è dato vedere, il Signore Gesù se ci ha rivelato questo mistero, non l’ha fatto certo per complicarci le idee. Ma l’ha fatto per offrirci un principio permanente di critica cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni perso-nali e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale attraccheremo finalmente la nostra barca.

Sicché la Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui devono scaturire l’etica del contadino e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell’economia, le ragioni che fondano l’impegno per la pace e gli orientamenti di fondo del diritto internazionale.

La Trinità, dunque, è una storia che ci riguarda. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l’esistenza cristiana.

Bloch diceva che Dio è un padrone collocato così in alto, che l’uomo, il servo, di fronte a lui rimane a bocca asciutta. Nulla di più falso, almeno per il nostro Signore, il quale, se si è rivelato uno e trino, è perché vuol far sedere il servo alla tavola delle sue ricchezze.

+ don Tonino Bello

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