San Bonaventura e Dante, i titani della teologia che si fa poesia

 Pio XII definì San Bonaventura il principe dei mistici.
Fra tutti i teologi della Scolastica il dottore francescano si è distinto per la sua visione su Dio, sull’uomo e sul cosmo fornendo accanto ad una teologia sistematica anche un apparato di teologia spirituale e di lettura della storia secondo la Provvidenza di Dio.
Per l’uomo del Medioevo la vita era un cammino verso una meta che identificava in Dio stesso il punto di arrivo.
L’Itinerario dell’anima in Dio di San Bonaventura è un classico della spiritualità cristiana così come il viaggio metastorico di Dante nella Divina Commedia è un’opera affermata della letteratura italiana.
Mentre alcuni studi recenti rivalutano l’ispirazione religiosa e teologica di Dante Alighieri, anche tra i teologi aumenta l’interesse per un confronto con la poesia di Dante. La lettura delle Collationes in Hexaëmeron e della terza cantica della Divina Commedia suggerisce una particolare sintonia tra gli Autori. Gli itinerari luminosi descritti nelle Collationes e nel Paradiso manifestano e invitano a riscoprire il valore della “forma bella” della teologia, esperienza in cui si viene condotti in alto fino all’intuizione-rivelazione dell’armonia di ogni cosa in Cristo.
Benché molti studiosi attribuiscano a Dante una visione teologica tomista, “i colori” della forma di sapienza cristiana che troviamo nel Paradiso sono più bonaventuriani che tomisti.
Dante era, tra l’altro, un terziario francescano.
Pensiamo, per esempio, ai primi versi del canto X del Paradiso, il canto nel quale Dante-personaggio ascende dal cielo di Venere al cielo del Sole (il cielo dei sapienti), sono versi che sintetizzano in modo potente e preciso l’opera delle Persone della Trinità nell’ordinamento del cosmo:
Guardando nel suo Figlio con l’Amore che l’uno e l’altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore quanto per mente e per loco si gira con tant’ordine fé, ch’esser non puote sanza gustar di lui chi ciò rimira.
Dio Padre, guardando nel Figlio attraverso l’Amore che è lo Spirito Santo (procedente dal Padre e dal Figlio) creò i cieli con tanta perfezione di ordine che chi li guarda non può non gustar di lui.
In Dante, come in Bonaventura, si trova una grande coerenza e un “invito a salire”, a passare dalle necessarie purificazioni per arrivare alla luce, non come eroi ma come discepoli della sapienza, che richiede verità su se stessi e quindi umiltà.
Non è mai ascesa gnostica, frutto di mera conoscenza, ma anagogica, cioè esperienziale che dai segni e dagli eventi riconduce ai valori universali e alle realtà trascendenti.
Si è condotti in alto, per mano, accompagnati non alla suprema conoscenza ma dall’umile riconoscenza della grazia.
Si comprende allora che il viaggio è da leggere a partire dal Paradiso, dal desiderio e dall’Amore che tutto muove ed attira a Sé.
E’ la visione finale che unifica l’itinerario, proprio nella fatica del linguaggio che non può quasi più trovare né inventare parole adatte e nell’affidamento alla guida del mistico San Bernardo o alla caligine.
Questa forma di teologia è bella perché splende per la sua coerenza ed è naturalmente alleata della parola poetica.
Romano Guardini, scrivendo di Dante, cita Bonaventura:
L’opera di Dante, come le cattedrali del Medioevo e le Somme dei filosofi scolastici, si prefigge il gigantesco compito di costruire quel mondo strutturato, in cui la ricchezza dell’esistenza perviene all’unità. Essa vuole trovare un ordine in cui ogni cosa abbia il proprio posto, vuole fondare un dominio santo in cui ogni essere riposi sul significato, ogni forza sul diritto e ogni obbedienza conduca alla libertà, precisamente una «gerarchia», («sacro dominio»), la quale, secondo la definizione di san Bonaventura, significa che il singolo ha in sé il proprio significato, ma insieme esiste per gli altri; che ogni cosa si fonda sulla precedente e insieme fonda la seguente, e che, esprimendo se stessa, manifesta il Tutto.
Questa forma di teologia, come Beatrice, ha occhi che splendono più che la stella (Inf. II, 19). Beatrice è allegoria della teologia che diventa guida affidabile: già nella Vita Nova Dante parla di Beatrice come della donna vestita di umiltà che aiuta il Poeta a diventare umile, nel Convivio si cerca il modo di ritrovare l’amore di Beatrice attraverso la filosofia, amore indirizzato alla sapienza.
Filosofia è quando l’anima e la sapienza sono fatte amiche, sì che l’una sia tutta amata dall’altra.
Nel Paradiso Beatrice non solo affianca Dante ma risolve i suoi dubbi teologici e insegna, giunge fin dove la teologia, come “discorso su Dio”, non è più possibile perché esiste un limite al linguaggio.
L’itinerario dell’anima, sia nelle Collationes in Hexaëmeron che nella Commedia, si svolge sullo sfondo temporale di una settimana, per Bonaventura è la settimana della creazione e per Dante sono i giorni dal giovedì santo (7 aprile 1300) alla mezzanotte del giovedì dell’ottava di Pasqua, 14 aprile. Ciascuna cantica inizia nel tempo del giorno più opportuno: l’Inferno nella notte, il Purgatorio all’alba (e corrisponde al mattino di Pasqua) e il Paradiso nella piena luce del mezzogiorno. Sono percorsi luminosi, le cui tappe si snodano secondo ragione-fede-contemplazione.
Viene quasi spontaneo avvicinare la struttura della Divina Commedia a quella dellItinerarium mentis in Deum, che Dante conosceva bene.
San Bonaventura, per Dante, è colui che aveva iniziato il proprio ‘itinerario’ come un povero nel deserto, e il Poeta racconta a partire dalla propria ‘selva oscura’ la ricerca della via diritta.
Dante, dando la parola a Bonaventura-personaggio lo fa esordire con le parole L’amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l’alto duca per cui del mio sì ben ci si favella.
 In lui Dante trova il teologo ideale per fungere da cerniera tra la prima ghirlanda e la seconda, infatti Bonaventura è sia professore a Parigi che umile frate, un uomo che anche storicamente, ha saputo mediare tra opposti estremismi e in paradiso questa caratteristica è ancora presente, come armonia che si addice agli spiriti sapienti.
Nelle Collationes in Hexameronen, il “canto del cigno” di San Bonaventura, c’è un altro elemento che ci consente di avvicinarle al Paradiso.
Si tratta infatti di due ‘opere ultime’, per gli Autori così si conclude il loro personale pellegrinaggio spirituale e artistico. E non per caso: costituiscono l’ultima testimonianza, due percorsi d’ascesa mossi dal desiderio e guidati dalla grazia, due visioni piene di luce. La meta che attira e guida il viaggiatore non gli consente mai di essere passivo spettatore, è richiesto un coinvolgimento di tutto l’essere e si realizza una vera trasformazione della persona.
Le cose del mondo, dunque, riflettono la divinità in forma di luce: campi semantici della luce e del riso, dello specchio e del colore fanno a loro modo musica dentro il linguaggio poetico, sono la resa dantesca della musica dei cieli e della poesia.
Sono due cammini che parlano di ‘come si va in cielo’, lo sguardo è rivolto al cielo dove l’ultima parola è Cristo, Verbo in cui risplende l’effige della nostra umanità.

Fra AMAB

 

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