La rivoluzione della tenerezza

 Fin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco ha invitato ripetutamente i credenti ed il mondo ad animare la “rivoluzione della tenerezza”. 
Un tema di cui pochi hanno compreso il significato e la portata. 

Tenerezza sana, egoismo senza riduzioni

La spiritualità biblica non è vuota; anzi, molto sobria e legata alla vita concreta – per nulla incline a ripiegamenti sentimentalistici consolatori. 

In Dt 6,4-5 l’amore dovuto al Signore investe “tutto il cuore” ossia tutte le decisioni, “tutta la vita” (testo ebraico) ossia ogni istante dell’esistenza, e “tutto il tuo molto” (condivisione dei beni; che il Figlio di Dio intende in senso universale). 

La proposta di Gesù evolve in modo decisivo verso il superamento degli steccati, la libertà, e la consapevolezza. Essa tende a recuperare l’intero essere creaturale – e non è neppure incline alla liturgia degli adempimenti (né a valorizzare performance). 

Il Figlio di Dio definisce le coordinate del vero Amore verso il Padre in termini che ci sorprendono, perché al criterio antico aggiunge il mettersi in discussione nell’intelligenza delle cose dell’uomo, di Dio e di Chiesa.

Rendersi conto, cercare di capire, dialogare per arricchirsi, aggiornarsi, vagliare tutto… non sono orpelli cerebrali e individuali, ma passi decisivi per la comunione con gli altri e col Padre (Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27).

Non siamo dei creduloni, né chiamati a fare i teneroni!

Nelle religioni pagane non aveva senso parlare di amore per gli dèi. Essi vivevano una vita capricciosa e decidevano a lotteria chi favorire tra gli uomini e chi invece dovesse sopportare una vita di stenti, insignificante.

I fortunati e (materialmente) benedetti ringraziavano adempiendo le prescrizioni, ad es. con obblighi di culto; gli altri idem – almeno per tenersi buone le schiere celesti e non essere così oggetto di ritorsioni.

L’amore mette alla pari; il timore crea le piramidi gerarchiche. Ovvio che fosse impossibile avere tanta passione per gli abitatori dell’Olimpo, o semidei, ninfe, eroi – insomma, per chiunque sovrastasse con la cappa delle molte incombenze da osservare (per strapparne il favore).

Agli invisibili era ovviamente riservato il disprezzo personale e sociale – sacralizzato dall’indiscutibile volontà superna, identificata con la destinazione al ceto dei bassifondi; nel caso, punitiva.

(Altro che “viscere di Misericordia”: espressione materna, comune sin dal Primo Testamento)!

Poi l’idea arcaica di castigo o benedizione (addirittura senza fine) per meriti ammucchiati in vita ha costituito il tessuto della mentalità religiosa di tutti i tempi. Ciò anche nella civitas christiana in cui viviamo, sino a poco tempo fa.

Quindi la teologia della retribuzione ha di fatto annientato ogni passione personale, con l’idea ipocrita di scambio (e meritocrazia proiettata addirittura al rango di Paradiso – peggiore degli egoismi) livellandoci tutti all’apporre crocette.

Sono note le complesse procedure della pesatura del cuore e del Giudizio divino sulle anime dei defunti, fin nei sarcofagi e nel Libro dei morti dell’antico Egitto. Concatenazioni di stampo forense, che hanno umiliato l’idea di Giustizia divina (che pone giustizia dove essa non c’è), ma divenute comuni a tutte le credenze del bacino mediterraneo e del medio oriente antico.

Ormai distaccati dall’invasione antica di catechesi ossessive sul terribile giudizio finale (popolato d’accoliti armati con forcone) ci sentiamo finalmente capiti in modo personale, e con criterio esclusivamente vocazionale, non massificato.

Per dato creaturale, siamo anime chiamate e attivate a un percorso che può dare frutto irripetibile – un contributo decisivo e non omologabile all’intera storia della salvezza. Ciascuno di noi.

Nella visione-proposta di Gesù, il nostro essere non è onnipotente nel bene; ma questo non reca condanna alcuna, neanche agli incapaci.

Siamo conformati sulla necessità di ricevere amore – come fossimo dei bambini di fronte a Genitori che fanno crescere sani i propri figli con una sovrabbondanza d’iniziative, le quali li portano a superarsi.

Ciò, malgrado i capricci; anzi, a motivo di essi: magma di energie contrapposte eppure plasmabili, che vedono più lontano delle facili identificazioni, e stanno preparando i successivi sviluppi.

L’esperienza della Tenerezza evangelica non deriva dal buon carattere, ma dall’aver sperimentato in prima persona il valore delle eccentricità – e aver sviluppato la comprensione dei propri lati oscuri, o rielaborato e fatto scendere in campo deviazioni che a un certo punto della vita sono diventate risorse stupefacenti.

Addirittura, una medesima evoluzione e trasmutazione si nota negli aspetti di noi che non piacciono e vorremmo correggere, poi nell’andare dei giorni ci stupiscono, e scopriamo essere la parte migliore di noi stessi: la nostra vera inclinazione e il motivo per cui siamo nati.

Il carattere deviante e sbilanciato di ciascuno contiene il segreto essenziale della Chiamata per Nome e del proprio destino. Da ciò si parte per riconoscere il peso specifico delle differenze e le stesse dissonanze di sorelle e fratelli, ugualmente arricchenti.

Non è buonismo (oscillante in situazione, e collegato a modi artificiosi, subdoli interessi o partigianerie): il contrario!

Nella vita personale e di comunione, Tenerezza evangelica è reale comprensione e autentica inclusione del “diverso” – a partire non da una ideologia erratica, momentanea e di cerchia (volubile) ma dalla propria esperienza di vita intima e relazionale.

Ci porterà a sperimentare un Padre che ben provvede a noi, proprio mentre rallegriamo la vita altrui – arricchendo la nostra! – nella confluenza e riarmonizzazione dei nostri molti volti.

Tenerezza a tutto tondo, convinta sul serio; senza le maschere omologate dei soliti “punti saldi” della banale (recitata) tenerezza, forse socialmente obbligata e che si attiva da un’identità conforme e indebolita.

È questo il contagio sapiente che ci farà rinascere dalla grande crisi globale della pandemia: l’indulgenza che non si fa indolenza; e che non è settoriale – perché parte non dai nodi esterni, ma dall’essere se stessi.

don Giuseppe Nespeca

Per cercare di comprendere il significato, le finalità, il senso di ciò che intende papa Bergoglio quando parla di “rivoluzione della tenerezza”, Orbisphera ha chiesto a don Giuseppe Nespeca di approfondire il tema. 

 

 

 

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