L’Italia s’è desta?

 La pandemia da Covid-19 non è stata solo una lotta sanitaria.
In essa si sono evidenziate due visioni diverse sull’uomo all’interno della stessa Unione Europea.
Questa dinamica è riemersa durante il lungo summit della seconda metà di luglio dei capi di stato europei per la lotta, questa volta, contro l’annunciata crisi sociale.

I mesi di confinamento hanno infatti fortemente rallentato l’economia danneggiando gli imprenditori specie di settori importanti di attività come i trasporti e il turismo.

In questo caso è emersa una diversa visione dell’Europa stessa e dell’economia.
L’accordo sul Recovery Fund è un successo per l’Italia.
La resistenza dell’Olanda (e degli altri “frugali” del Nord) ha dovuto cedere sul punto principale: per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia l’Europa emetterà debito comune, garantito da tutti, ripagato con risorse reperite dalla Commissione Ue. Una svolta storica, che cambia la costruzione europea.

L’Italia alla fine ha ottenuto più risorse di quelle previste dalla proposta iniziale: 209 miliardi anziché 173. Finanziamenti a fondo perduto appena limati (400 milioni in meno) e molti più prestiti (un totale di 127 miliardi) ma con scadenze così lontane e interessi così bassi da non renderli molto diversi dalle sovvenzioni. Quanto al diritto di veto preteso dagli arancioni, forse li abbiamo imbrigliati pure lì.
Bisogna tuttavia capire la resistenza dell’Olanda, un Paese piccolo come PIL e demografia che tuttavia abbaia.

È il Paese di Erasmo e di Spinoza. È il posto dove si stampavano i libri proibiti dall’Inquisizione. Ancora oggi, è un Paese liberale, in cui pure l’estrema destra è estremamente liberale: il suo fondatore, Pim Fortuyn, era un omosessuale dichiarato, che ce l’aveva con gli arabi perché «mi considerano un cane», e fu assassinato non da un arabo bensì da un animalista, perché girava in pelliccia e sosteneva che chiunque potesse vestirsi come gli pareva (dopo di lui è venuto Geert Wilders, che è un’altra cosa). 

Gli olandesi sanno che l’Italia è tra i primi posti in Europa per evasione fiscale (cento miliardi di euro all’anno) e del risparmio privato (che a ogni crisi aumenta).

Gli arancioni si chiedono perché debbano mettere loro mano al portafogli se gli italiani non lo fanno per se stessi.

Già oggi l’Italia non riesce a spendere tutti i fondi europei, che non finanziano sussidi e stipendi facili ma cantieri e progetti, che all’evidenza mancano. 

Ovviamente anche noi abbiamo le nostre buone ragioni. Potremmo rispondere al contribuente olandese che il suo governo non dovrebbe fare concorrenza sleale agli altri europei, attirando la sede delle aziende straniere con condizioni fiscali di vantaggio.

Persino la FCA ha la sua sede in Olanda e dopo la Brexit ci venne soffiata la possibilità di avere la sede del farmaco a Milano.
In Italia, inoltre non possiamo spendere 170 miliardi solo nel digitale e nella transizione ecologica come vorrebbero i paesi frugali; una parte deve servire a ristorare i danni da lockdown, aiutando chi ha perso il lavoro.

In ogni negoziato bisogna conoscere l’interlocutore emettere in una bilancia gli importanti argomenti fin qui presentati.

L’altra regola fondamentale del confronto è avere dietro un Paese unito, almeno nella tutela dell’interesse nazionale.

Salvini che in pieno vertice europeo chiede le dimissioni del presidente del Consiglio non ha fatto l’interesse nazionale, cosa che invece le altre correnti partitiche dell’opposizione hanno capito.

Per fare politica, ci vuole anche l’intelligenza, oltre che il buon senso e la cultura che manca tanto a chi oggi pretende le due P: poltrona e potere.
Giuseppe Conte infine deve sbrigarsi a scrivere un piano di riforme decente che rilanci il Paese, perché 200 miliardi dal cielo non pioveranno mai più
E’ un’opportunità unica dal dopoguerra in poi, una sorta di Piano Marshall che potrebbe far decollare il Bel Paese, cosa che gli europei frugali e meno frugali temono unanimamente.

 

Fra AMAB

 

 

 

 

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