“S’i fossi foco…”

L’avevamo lasciato con le sue cinque piaghe e i tre chiodi Gesù Crocifisso nel giorno della sua Passione. Lo ritroviamo ora con le stesse piaghe ma gloriose al trono della destra del Padre.
Gesù è veramente risorto. Alleluia!
E’ la gioia dell’annuncio di Pasqua che abbiamo cantato esultanti nella Veglia delle veglie che ha rischiarato le tenebre della notte. Nel cielo stellato campeggiava la luna piena, quella del 14 di Nisan.
In essa ci siamo ricordati del principio mariano della Chiesa in Colei che riceve la sua Luce dal Sole senza tramonto.
Fu nella sera luminosa dell’11 ottobre 1962 che Giovanni XXIII annunciò al mondo l’indizione di quel Concilio che avrebbe rappresentato una nuova pentecoste per la mole dell’assise e l’oggetto delle discussioni in un dialogo ininterrotto della Chiesa con il mondo contemporaneo.
E’ in una notte di luna piena sul cielo di Calderà che ho pensato, diletti parrocchiani, di rivolgervi una lettera pasquale.
Abbiamo camminato insieme durante la Quaresima, forse inciampato, ma alla fine abbiamo gioito della Resurrezione di Cristo.
In Colui che fa nuove tutte le cose vogliamo impegnarci a rinascere e a custodire la vitalità interiore.
La vita sacramentale è il principio attivo che ci permette di guarire da ogni malattia dello spirito.
Abbiamo teatralmente interpretato la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù in una tradizione che si sacrifica da sedici anni.
La flessibilità e la versatilità dimostrate nell’interpretazione e nel riadattamento delle scene nel contesto nuovo del teatro chiuso, oltre ad aprire nuovi orizzonti di arte ed evangelizzazione per la nostra parrocchia hanno rivelato un valore ancora più bello e importante che si riassume nel motto: “tutti per uno e uno per tutti”.
Solo la comunione all’interno della comunità produce dinamiche di crescita il cui beneficio ricade su tutti e su ciascuno.
Il Santo vescovo martire Ignazio di Antiochia scrive alla comunità di Efeso: “… E ciascuno diventi un coro affinché nell’armonia del vostro accordo, prendendo nell’unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce con Gesù Cristo al Padre perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Cristo. È necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio.”
Chiedo a voi e prego Iddio per l’intercessione di S. Rocco affinché questo proposito si realizzi qui e adesso, oggi e sempre.
Calderà vuole cantare con la vita e camminare su quei ponti crollati non sulle nostre strade provinciali o comunali, ma sulle mulattiere barricate delle nostre relazioni.
Cosa può dare la nostra frazione, il nostro quartiere, la nostra parrocchia a una martoriata Barcellona in una martoriata Sicilia?
Nell’Exsultet si è fatto più volte riferimento alla cera d’api, la stessa materia di cui è plasmato quest’anno il nostro bel cero pasquale.
Illuminare, riscaldare vorrei che fossero i due contributi che ci devono appartenere.
La luce è data dalla verità su noi stessi, sulla nostra identità cristiana, sulle nostre tradizioni e sulle nostre proiezioni profetiche alla luce del Cristo Risorto.
E’ ora di gettare lontano le maschere e riscoprire la bellezza del volto autentico del quaddariota.
Il calore è dato dalla carità che dobbiamo sviluppare per inviluppare ogni bisognoso, non solo dei beni materiali, ma soprattutto dei beni spirituali.
Sia la luce che il calore sono frutto di energia che consuma.
E’ bello il paragone con l’industriosità delle api che con il miele e la cera non soddisfano solo i bisogni immediati di sopravvivenza ma forniscono anche materia per quegli strumenti della liturgia che diventano il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini.
Guai se non si fosse più divorati da quel fuoco di cui parlava P. Pio da Pietrelcina o da quella febbre del milite dell’Immacolata di cui parlava S. Massimiliano Maria Kolbe!
Gesù ha detto che è venuto a portare il fuoco su questa terra e vorrebbe tanto vederlo già acceso (cfr Gv 15, 3). Cos’è questo fuoco se non l’amore?
Non è terreno, limitato; è amore evangelico. E’ universale come quello del Padre celeste che manda pioggia e sole su tutti, sui buoni e sui cattivi, inclusi i nemici.
E’ un amore che non attende nulla dagli altri, ma ha sempre l’iniziativa, ama per primo.
E’ un amore che si fa uno con ogni persona: soffre con lei, gode con lei, si preoccupa con lei, spera con lei. E lo fa, se occorre, concretamente, a fatti. Un amore quindi non semplicemente sentimentale, non di sole parole.
Un amore per il quale si ama Cristo nel fratello e nella sorella, ricordando quel suo: “L’avete fatto a me” (Mt 25,40).
E’ un amore ancora che tende alla reciprocità, a realizzare, con gli altri, l’amore reciproco.
E’ quest’amore che, essendo espressione visibile, concreta della nostra vita evangelica, sottolinea e avvalora la parola che poi potremo e dovremo offrire per evangelizzare.
L’amore è come un fuoco, l’importante è che rimanga acceso.
E, perché ciò sia, occorre bruciare sempre qualcosa. Anzitutto il nostro io egoista, e lo si fa perché, amando, si è tutti protesi verso l’altro: o Dio, compiendo la sua volontà, o il prossimo, aiutandolo.
Un fuoco acceso, anche piccolo, se alimentato, può divenire un grande incendio. Quell’incendio di amore, di pace, di fraternità universale che Gesù ha portato sulla terra; quel fuoco che ogni quaddariota porterà seco sviluppando una sensibilità più viva per gli interessi generali della collettività.

Pasqua 2018

Il vostro
padre parroco
Alfonso Maria