UNA CHIESA LIBERA, POVERA E SERVA COME MARIA

 Commento alla Liturgia della Parola della XIX Domenica del T.O. (C)

La Liturgia della Parola odierna può essere letta in una chiave tutta mariana se consideriamo la dimensione del servizio nella comunità e il buon esempio.
 La Vergine Maria “piena di grazia” incarna l’elemento carismatico della Chiesa che in Lei trova il suo principio accanto alla dimensione petrina, cioè apostolica e istituzionale.

Il ministero pastorale di Papa Francesco ricorda le intuizioni profetiche del Servo di Dio don Tonino Bello che trent’anni prima agognava per una Chiesa libera, povera e serva.
All’epoca quelle parole sembravano graffi sui lunghi filatteri di farisei clericalisti.
Oggi il pontificato affronta i discepoli di questa scuola rabbinica che hanno spostato il brusio antiprofetico e antipapale dall’Accademia alla blogosfera.

È don Tonino stesso a dirci, con le sue parole, come nacque in lui la felice intuizione della «Chiesa del grembiule».
«L’altra sera – raccontò ad Assisi nel 1989 – sono stato in San Giovanni in Laterano. C’era una grande veglia missionaria. […] mi è venuto in mente di dire alcune cose sul servizio. Ho sfilato l’amitto con le striscioline e ho detto: “Se lo rivoltiamo e ci stringiamo i fianchi, questo è un grembiule. Invece l’abbiamo messo attorno al collo. Non ce l’abbiamo più intorno ai fianchi. Il grembiule lo abbiamo perso”. Proprio così: “amitto” da “amittere”, che significa perdere. Lo abbiamo perso come grembiule e ce lo siamo messi al collo. Ma questo è uno dei parametri simbolo del nostro impegno». E poi lamenta: «Le nostre Chiese, purtroppo, sono così. Riscoprono la Parola […]. Celebrano liturgie splendide […]. Quando però si tratta di rimboccarsi le maniche e di cingersi le vesti, c’è sempre un asciugatoio che manca, una brocca che è vuota e un catino che non si trova». Da questa intuizione ha preso corpo il volto evangelico della «Chiesa del grembiule», quel volto che è rimasto a lungo oscurato in conseguenza dell’Editto di Costantino, che il Concilio Vaticano II ha riportato alla luce e che papa Francesco oggi incarna.

  1. UNA CHIESA LIBERA

Anzitutto, la «Chiesa del grembiule» è una Chiesa libera dal potere politico. Costantino, imperatore d’Occidente, e Licinio, imperatore d’Oriente, con l’Editto di Milano del 313 fecero uscire la Chiesa dalle catacombe, concedendo finalmente la libertà di culto. Settant’anni più tardi, nel 380, l’imperatore Teodosio promulgò l’Editto di Tessalonica, con il quale il cristianesimo era dichiarato unica religione legittima dell’Impero e si minacciavano pesanti sanzioni per i seguaci di altre confessioni religiose (EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica, PG 20, X, 5).

a) Oltre il regime di cristianità
Ebbero fine così le persecuzioni contro i cristiani, e questo fu un bene; ma, nello stesso tempo, il compromesso tra fede e politica veniva a oscurare l’ideale evangelico, quale Cristo aveva chiaramente enunciato: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo 22, 21). Nasceva, cioè, in Occidente il regime di cristianità, quella sovrapposizione innaturale fra trono e altare, tra Chiesa e Stato. Certo, l’Editto di Costantino contribuì a forgiare la società europea e le lasciò in dote un certo patrimonio di valori cristiani; tuttavia, il prezzo del regime di cristianità fu l’effettivo oscuramento dell’ideale evangelico: le esigenze del potere temporale e della diplomazia finirono col raffreddare la profezia della Chiesa e ne impedirono la parresia e il coraggio dell’annunzio e della denuncia, limitandone grandemente la libertà.
Questa è la «Chiesa del grembiule», «estroversa», come la definisce don Tonino, non autoreferenziale e ripiegata su se stessa, non più chiusa nei panni ristretti del “regime di cristianità”: «Si deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale – ha detto papa Francesco –: quando lo diventa, la Chiesa si ammala. È vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima» («L’elezione di Papa Francesco», in La Civiltà Cattolica, 12013 537; COSTA G., «Papa Francesco, carisma e istituzione», in Aggiornamenti Sociali, 4 (2008) 273).

b) La Chiesa coscienza critica del mondo
Libera dal potere temporale, oggi la «Chiesa del grembiule» può assolvere meglio alla funzione di coscienza critica del mondo, può aprirsi con coraggio alle sfide della giustizia e della pace, della fame e dello sviluppo economico. «Che cosa c’è di strano – chiede don Tonino – che un vescovo parli di giustizia, di nonviolenza attiva, di solidarietà con le vittime? Ma non è Gesù stesso, la memoria eversiva della croce, che ci chiama a destabilizzare le strutture di peccato di questo mondo?».
Non fidatevi dei cristiani “autentici” che non incidono la crosta della civiltà. Fidatevi dei cristiani “autentici sovversivi” come san Francesco d’Assisi, che ai soldati schierati per le crociate sconsigliava di partire. Il cristiano autentico è sempre un sovversivo: uno che va controcorrente non per posa, ma perché sa che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente.
Don Tonino chiedeva alla Vergine, alla Madre della Chiesa, che questa libertà non venga più meno: «Quando, per non dispiacere ai potenti o per paura di alienarcene i favori, pratichiamo sconti sul prezzo della verità, coprici il volto di rossore»

               2. UNA CHIESA POVERA

Il secondo tratto fondamentale della «Chiesa del grembiule» è la povertà. Dice il Concilio: «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza […]; quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione» (LG, n. 8).
La «Chiesa del grembiule» è povera e amante dei poveri. Non è una scelta demagogica o ideologica (come molti rinfacciavano a don Tonino), ma evangelica, scritta nel cuore stesso del Vangelo.
Papa Francesco ha raccontato nell’udienza ai giornalisti che, durante lo spoglio dei voti nella Cappella Sistina, quando la sua elezione a vescovo di Roma ormai era certa, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, che gli sedeva accanto, gli suggerì: «Ricordati dei poveri!». Fu allora – disse il nuovo papa – che decisi di chiamarmi Francesco. Il racconto di papa Francesco richiama un altro racconto, quello di san Paolo. Quando l’Apostolo si recò con Barnaba a Gerusalemme per avere conferma della sua missione tra i gentili, Giacomo, Cefa e Giovanni, le colonne della Chiesa, diedero loro la mano destra in segno di comunione – narra san Paolo – «soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare» (Galati 2, 10). «Ricordati dei poveri»: questo è il Vangelo! La povertà, infatti, manifesta la gratuità della salvezza di Dio, il quale, da ricco che era, si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr 2 Corinzi 8, 9).
Tuttavia, quello che colpisce in don Tonino è che il suo amore alla povertà e la sua scelta preferenziale per i poveri non poggiano solo sul sentimento; com’è nel suo stile concreto e molto pratico, egli è convinto che «conoscere i meccanismi perversi che generano le sofferenze è il primo atto di solidarietà con i poveri. Le improvvisazioni sentimentali non bastano. Il volontarismo emotivo non è sufficiente. Occorrono la competenza e lo studio. Si comprenderà allora che le cause di tante situazioni disumane non sono fatalità. Occorre convincersi che l’analisi strutturale delle situazioni di sofferenza e la ricerca delle cause che le producono sono divenute, oggi più che mai, il luogo teologico nuovo sul quale il Signore interpella la nostra Chiesa […]. Le nostre comunità cristiane devono promuovere una strategia nuova di coscientizzazione, di educazione alla giustizia e alla carità, di stimolo alla partecipazione […]. È necessario stimolare una formazione politica seria per il nostro popolo, senza la quale i poveri si trasformeranno in massa manovrabile da parte di coloro che hanno in mano le leve del potere economico, politico e culturale».
Perciò, don Tonino chiede perdono delle omissioni, dei silenzi e delle complicità: «[Signore, ti] chiediamo perdono per la complicità di tanti peccaminosi silenzi. Ti chiediamo perdono per tutti i guasti dei nostri egoismi corporativi, per le sperequazioni economiche e per l’idolatria del profitto, per lo sterminio per fame tollerato se non provocato da noi ricchi ai danni di tutti i Sud della terra, per la crescente produzione di armi e il loro commercio clandestino, per la militarizzazione del territorio e dello spazio, per le discriminazioni razziali e per la tragica esposizione debitoria dei poveri del Terzo mondo, il business di certi ipocriti aiuti economici e l’imperialismo culturale veicolato dai mass media».
L’amore della «Chiesa del grembiule» per i poveri, dunque, va molto oltre il dovere della benevolenza e dell’elemosina; esige che camminiamo con loro, che facciamo nostri i loro problemi, le loro angosce e le loro speranze. Se serviamo i ricchi, i ricchi possono ricompensarci e ciò rende meno limpida la nostra testimonianza; se invece serviamo i poveri, i quali non ci possono ricompensare, allora la testimonianza evangelica è senza ombre: nel mondo veramente è apparso l’Amore! «I poveri – conclude don Tonino – sono il luogo teologico dove Dio si manifesta e il roveto ardente e inconsumabile (cfr Atti 7, 30ss; Esodo 3, 1s) da cui egli ci parla».

  1. UNA CHIESA SERVA

Infine, la «Chiesa del grembiule» è una Chiesa serva: «La Chiesa – scrive don Tonino – non deve mai collocarsi come un assoluto. L’assoluto è il suo Signore Gesù Cristo. La Chiesa è serva umile: quanto più, starei per dire, si toglie di mezzo, meglio è: per far risplendere Lui, Gesù Cristo, lo sposo che arriva. Un giorno lei, la Chiesa, sarà introdotta alle nozze con l’Agnello: e solo allora ci sarà gloria anche per essa. Prima no. Ogni anticipazione della gloria sarebbe appropriazione indebita». «Il Figlio dell’Uomo – ha detto Gesù – non è venuto per essere servito, ma per servire» (Marco 10, 45). La Chiesa – fa eco il Concilio – «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza» (GS, n. 76). È fondamentale che la Chiesa sia serva povera e umile, che ponga la sua fiducia solo nella Parola di Dio, nella santità dei suoi figli e nel servizio ai poveri, evitando – come suggerisce il Concilio – anche la sola apparenza di appoggiarsi sui privilegi concessi dai potenti di turno.
Detto questo, «Il primo servizio che dobbiamo rendere – puntualizza don Tonino – è quello della comunione. Siamo chiamati a essere “servi della comunione”. Questa deve essere la nostra brillante carriera!»
Uno dei grandi meriti del Concilio fu riaffermare sul piano teologico il primato della comunione sull’istituzione, del potere inteso come servizio. Proprio per questo, sulla base dell’ecclesiologia di comunione, il Concilio ha insistito che lo “spirito collegiale” nei rapporti tra il papa e i vescovi va inteso come spirito di servizio alla comunione, al di là della collegialità in senso giuridico. Lo “spirito collegiale”, quindi, dovrà animare tutte le forme di collaborazione e di partecipazione tra le diverse componenti della Chiesa; non, dunque, per ragioni solo di efficienza organizzativa, ma per una profonda ragione ecclesiologica e profetica: chiunque ha un ruolo nella Chiesa è chiamato non a esercitare un potere, ma a svolgere un servizio.


E questo lo spirito di comunione e di servizio, tanto caro a don Tonino, che egli definisce spirito della «convivialità». Una delle preghiere più belle don Tonino l’ha composta proprio per ottenere la grazia che lo spirito della «convivialità» sia l’anima della «Chiesa del grembiule». Eccola: «Santa Maria, donna conviviale, alimenta nelle nostre Chiese lo spasimo di comunione. Per questo Gesù le ha inventate: perché, come tante particole eucaristiche disseminate sulla terra, esse abbiano a introdurre nel mondo quasi una rete capillare di pubblicità, gli stimoli e la nostalgia della comunione trinitaria. Aiutale a superare le divisioni interne. Intervieni quando nel loro grembo serpeggia il demone della discordia. Spegni i focolai delle fazioni. Ricomponi le reciproche contese. Stempera le loro rivalità. Fermale quando decidono di mettersi in proprio, trascurando la convergenza su progetti comuni. Convincile profondamente, insomma, che, essendo le comunità cristiane punti vendita periferici di quei beni di comunione che maturano in pienezza solo nella casa trinitaria, ogni volta che frantumano la solidarietà, vanno contro gli interessi della Ditta» (Bello 1993, 99). È il servizio della comunione.
Oltre a questo, la «Chiesa del grembiule» è inviata ovviamente al servizio del mondo. È questa la sua stessa natura: «La Chiesa – ha detto il card. Bergoglio alla Congregazione generale del 9 marzo 2013, prima del Conclave – è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di pensiero».
Don Tonino vuole esprimere questo medesimo concetto quando parla della necessità di una Chiesa «estroversa»: anch’egli, però, come papa Francesco, insiste che «dobbiamo servire il mondo, ma da risorti. Di servizio se ne compie, nella Chiesa, e tanto anche. A volte fino all’esaurimento. Ci schieriamo con i poveri, facciamo mille sacrifici, aiutiamo la gente […] ma non con l’anima dei risorti, bensì con l’anima degli stipendiati. E non sempre col nostro servizio annunciamo Cristo speranza del mondo. Annunciamo più noi stessi e la nostra bravura, che lui! Appariamo non di rado un’organizzazione che incute rispetto, spesso anche paura, soggezione. Ma non siamo i viandanti entusiasti che insieme con gli altri dirigono i propri passi verso Cristo risorto».


Fra AMAB

 

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