Per amore del mio popolo

Sono transitato più volte per l’Agro Aversano, “la Terra dei fuochi”. E’ praticamente casa mia. Lì il 19 marzo del 1994 veniva ucciso un giovane sacerdote di soli trentasei anni. Era Don Giuseppe Diana (Peppe per gli amici), parroco di Casal di Principe, in provincia di Caserta. Mandanti ed esecutori del delitto appartenevano alla camorra.

Don Diana fu ucciso perché si era opposto ai tanti soprusi che funestavano il territorio. La sua fu una lotta aperta, mobilitò autorità religiose e civili di fronte ai tanti delitti che si verificavano nella zona. Coglieva ogni occasione per educare alla legalità, alla giustizia. Ma quando la camorra, nonostante le sue dimostrazioni di forza, si accorse che le cose stavano cambiando e la gente si sollevava contro i loro abusi, decretò la morte del parroco scomodo. Scrisse una lettera ai suoi parrocchiani dal titolo “per amore del mio popolo”. Oggi sarebbe stato il suo onomastico e sempre oggi avrebbe celebrato la sua paternità sacerdotale, l’unione sponsale verso un popolo, che è poi quello di Dio, per il quale si è sempre impegnato a risvegliare le coscienze contro la violenza fino a dare la propria vita. Con la sua azione pastorale condusse una lotta di liberazione della sua gente diversa dalla demagogia dei politici o degli anacronistici preti sessantottini. La criminalità organizzata che all’epoca faceva da regina e sovrana nella “terra di lavoro”, cioè la campagna della periferia di Napoli, ha perso sul consenso popolare, sulla paura, sugli elementi cioè dai quali traeva la sua forza. Oggi occorre investire sullo sviluppo, sulla cultura, poiché solo la verità rende libero l’uomo. Al killer che chiese, ”Chi è don Peppe Diana?” e poi gli sparò, avremmo voluto rispondere ‘Siamo noi tutti, il suo popolo’. L’ ho fatto passando dalle parole ai fatti. Per un sacerdote che muore ne nascono altri dieci. Il sangue dei martiri, diceva Tertulliano, è seme di nuovi cristiani. Il 1994 fu l’anno della mia ordinazione sacerdotale. Avevo venticinque anni. Ero missionario in Brasile, l’anno successivo partii per l’Africa lottando contro ogni forma di “mafia” che non si chiama solo Camorra o Cosa Nostra, ma si annida in luoghi e sistemi di potere imperscrutabili e insospettabili. Da sempre, con la forza della fede e della ragione che non ha bisogno della violenza se non quella verso se stessi, si può mostrare che l’alternativa alla camorra non è solo uno slogan come tanti, ma la voglia e la capacità di un popolo di riscattare le sue terre e la sua storia. Spero che i giovani accolgano la sfida della legalità partendo dal dono sincero di sé sull’esempio di uomini giusti come S. Giuseppe, come Giuseppe Diana o il beato Giuseppe Puglisi. Spero che partano da se stessi e ripartano da Cristo.

Fra AMAB

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