ADDIO A DUE FIDANZATI INVITATI ALLE NOZZE ETERNE

Il mio cuore questa sera è triste, ma non si arrende alla disperazione grazie alla fede della vita che nasce anche dopo la morte.
Ieri sera, prima di addormentarmi, avevo spontaneamente scritto una lettera ai genitori di Dennis e Riccardo, due diciottenni morti in un incidente stradale a Roma il 17 dicembre scorso.
Non immaginavo cha la mia riflessione mi sarebbe servita per trovare i propositi giusti per manifestare tutto il mio rispetto e affetto, nella sincera condivisione del dolore, verso i genitori di Nino Calabrò e Francesca di Dio.
 

Si tratta di due fidanzati siciliani che sono stati rinvenuti morti il primo pomeriggio del 21 dicembre scorso a Thornaby-on-Tees, nel Nord dell’Inghilterra.
Nino era un mio giovane parrocchiano durante il mio mandato pastorale alla guida della parrocchia di S. Rocco in Calderà dal 2015 al 2021.
Il papà Salvatore è un servitore dello Stato come sottufficiale della Guardia di Finanza e la mamma un perno della parrocchia come catechista, volontaria in un’associazione di diversamente abili, animatrice di oratorio e soprattutto persona di fede sincera. La vittima aveva anche una sorella più giovane, Alessandra, che lo scorso ottobre ha compiuto i suoi diciotto anni.
Una famiglia che stimo e che conosco benissimo.
Da circa tre anni Nino si era trasferito in Inghilterra per costruirsi un avvenire lavorativo alternativo alle incertezze di prospettive professionali del nostro Mezzogiorno d’Italia.
Non conoscevo invece Francesca, la sua ragazza ventenne, di sei anni più giovane, che lo aveva raggiunto in questi giorni per trascorrere il Natale con lui.
Le loro giovani vite spezzate tragicamente da un violento destino non mi lasciano indifferente e credo che il loro amore sincero rimarrà fissato nell’eternità dall’incontro con Colui che amandoci ci fa amare.
Vorrei rivolgermi allora a due mamme e a due papà afflitti dal dolore prendendo in prestito alcuni stralci della lettera che già avevo scritto per altre due coppie di genitori nel lutto imprevisto per la morte prematura dei loro ragazzi.
Lo faccio in punta di piedi perché in queste circostanze conta la prossimità più delle tante parole che si possono dire o scrivere.
Quando ho telefonato Salvina, prima che prendesse l’aereo per l’Inghilterra all’aeroporto di Palermo, le ho detto: «Sii forte come Maria ai piedi della Croce».
Con l’attuale parroco P. Michele Iorio stiamo condividendo il dolore di tutta una comunità parrocchiale travolta da questa notizia sin primi chiarori del giorno quando, come da tradizione durante la novena di Natale, c’è la S. Messa all’alba.
Mi rivolgo nella lettera che segue ai rispettivi genitori delle vittime, ma penso anche alle sorelle e fratelli, ai nonni, zii, parenti, amici, compagni di classe e conoscenti.
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Cari genitori, che la pace sia con voi!
Credo che questo augurio sia pertinente per il superamento del difficile momento che state vivendo per la scomparsa di Nino e Francesca.
Come sacerdote e come francescano voglio esprimervi tutta la mia vicinanza spirituale e soprattutto assicurarvi della mia preghiera.
Ogni giorno offro il Corpo e il Sangue di Cristo per il mondo attraverso la S. Messa e questo mi ricorda il grande amore di Dio.
Per noi si è fatto uomo, per noi ha sofferto la morte di croce e per noi, infine, ha vinto la morte con la sua resurrezione.
Per noi si è fatto pane, per noi si è fatto vino, cibo di dolcezza e bevanda di salvezza.
Nei momenti di prova siamo umanamente portati alla ribellione verso Dio e alla sfiducia verso il futuro.
La domanda retorica è: «Perché è capitato proprio a me?»
La gente anche si chiede come mai succedano disgrazie alle persone buone, laboriose, credenti…
In questi momenti guardo il Crocifisso e penso che il frutto del suo sacrificio sia proprio nella sua innocenza.
Non c’è cosa più triste per un padre, per una madre, che seppellire il proprio figlio.
Nel corso del mio ministero ho accompagnato fino al trapasso tante persone nel letto di malattia, ministrato gli ultimi sacramenti a morenti per strada e durante il mio lungo soggiorno missionario in Africa ho visto bambini morire e confratelli cadere nell’adempimento del loro dovere.
Ricordo P. Basilio, un anziano missionario che morì tra le mie mani e Fra Kisito, un giovane frate della stessa età dei vostri figli che accolsi io in convento.
Immagino bene, allora, come ci si possa sentire in simili circostanze.
Non posso naturalmente viverlo come voi, ma il cuore sacerdotale – credetemi – anche se porta con sé i peccati e le imperfezioni dell’umana natura, è un cuore particolarmente sensibile, che si innesta nel mistero dell’umanità di Cristo e del messaggio del suo sacro Cuore.
Come voi mi sono tante volte chiesto il perché di tanta sofferenza nel mondo, ma la risposta non è tardata a venire e si è manifestata in un modo e in un altro con la capacità di aver saputo cogliere negli avvenimenti difficili, attraverso le persone che incontravo, il segno di un incessante amore di Dio.
Pochi giorni fa una giovane sposa in lutto per il padre mi ha confidato la lieta notizia della sua gravidanza.
Una vita si spegne e una vita si accende all’interno della famiglia umana.
Quando un bambino viene alla luce, si apre a lui un mondo finora sconosciuto, che sentiva da dentro il grembo della mamma ma non poteva vedere.
Deve nascere per capire.
E c’è bisogno di tagliare il cordone per vivere in quell’altra dimensione.
Ecco, Dio vuole che la morte, ingiusta, faticosa, dolorosa non sia la fine ma la nascita e dal grembo di questo mondo ci aiuta a nascere alla vita che non finisce.
E il legame, il cordone che sembra spezzato in realtà diventa invisibile, spirituale, solo amore, ma lo sappiamo che sono proprio le cose invisibili quelle essenziali.
Gesù è questo legame ed è solo un legame di amore che dà senso a tutto e a tutti, che non si perde, non finisce.
Gesù diventa piccolo, per insegnarci le cose grandi, quelle che servono per davvero e ci fanno capire cosa saremo.
Dio nasce nel mondo, ne accetta gli imprevisti per farci nascere al Cielo.
Come saprete è morto prematuramente il calciatore ed allenatore serbo Sinisa Mihajlovic.
Afflitto da leucemia aggressiva, andò a Medjugorje da solo nel 2008, quando allenava per la prima volta il Bologna e disse:
«Ho cominciato a piangere come un bambino, non riuscivo a trattenermi. E mi sono sentito più forte e più uomo quel giorno che in tutto il resto della mia vita.
Su quella panchina è come se mi fossi ripulito, come se avessi tolto una pietra dal cuore. Da lì ho iniziato a pregare. Sono andato un po’ in conflitto, a volte Dio mi aiutava, a volte no. Poi ho capito che bisogna pregare sempre, da prima della malattia prego due volte al giorno. Ma non bisogna dire ‘voglio, voglio…’, ma ‘grazie, grazie’. Mi sono sentito totalmente appagato, pulito, libero, come se mi fossi tolto di dosso tutti i pesi dell’esistenza. Puro, come un bambino appena nato. Con Dio le fragilità non sono ostacoli, ma opportunità».
Noi non chiediamo al Signore perché ci ha tolto Nino e Francesca, ma lo ringraziamo per averceli dati insieme a quei momenti belli che rimarranno sempre impressi nella memoria e nel cuore di chi è vissuto con loro e li ha amati e voluti bene.
Il Natale sicuramente ci aiuta a capire meglio il senso della nostra vita.
Tutti siamo abbagliati dal dolore come le luci fantasmagoriche che in questi giorni ci attirano verso i negozi delle nostre città.
La vera Luce però è Cristo che nasce.
È luce perché allontana le tenebre delle nostre paure, delle nostre angosce, dei nostri dubbi.
Mi conforta, cari genitori, il rispetto di tantissime persone verso il vostro dolore e quello dei parenti e amici più prossimi.
Anche io ho istintivamente avvertito l’esigenza di lasciarvi intanto questo scritto come espressione di solidarietà e amicizia spirituale perché questo grande valore – l’amicizia – alla fine è capace anche nella morte e nel dolore, di non farci sentire mai soli.
Vi saluto e vi benedico e vi dico: coraggio e avanti!
 
P. Alfonso Maria Bruno
 
 
Per eventuali aiuti finalizzati al rimpatrio delle salme promosso dalla parrocchia e al funerale :

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