C’era una volta un gioco?

C’era una volta il calcio.
In una celebre frase Arrigo Sacchi definì questo sport come “la cosa più importante tra le cose meno importanti”.
Il calcio muove grandi masse e come tutti gli eventi che interessano miliardi di persone a livello globale non può lasciare indifferente il peso politico ed economico che ha raggiunto negli ultimi decenni.
Il calcio è anche business e soft power in una logica di competizione internazionale.
Gli investimenti dei russi e degli americani prima, ma soprattutto l’esoso esborso monetario dei cinesi e degli arabi poi sono un segnale evidente di come il calcio sia un terreno fertile in cui investire per gestire affari, espandere relazioni e attuare una delicata e accurata rete di soft power e politica della mediazione, con l’intento di aumentare i ricavi, la notorietà e la forza politica.
Il calcio è diventato recentemente un luogo in cui investire fior di milioni per competere nella finanza globale e per assicurarsi le più prestigiose posizioni nel complicato scacchiere geopolitico internazionale.
Nei club poco spazio per i sentimenti, il fair play, la fedeltà alla maglia.
Tutto cinismo nella goal economy.
Era il 26 giugno 2003 quando si accasciava al centrocampo del Saint Denis di Parigi Marc-Vivien Foe, uno dei leoni indomabili del Camerun che disputava la semifinale della Confederation Cup con la Colombia. Dopo la partita, durante i quarantacinque minuti di un tempo di gioco, al termine di una tentata e vana rianimazione, Foe perdeva la partita più importante, quella per la sopravvivenza
Tutti i giocatori erano in stato di shock assoluto.
Ci furono momenti di grandissima commozione, poi i giocatori della Colombia, ancora in tenuta da gioco, andarono da quelli del Camerun dicendo che volevano pregare assieme a loro. Così in molti si inginocchiarono e così fecero. I calciatori africani non avrebbero voluto disputare la finale che si erano meritata sul campo ma Joseph Blatter, il patron di allora del calcio mondiale, disse che il calcio non poteva fermarsi e che il gioco doveva continuare.
Nella distinzione tra calcio e gioco condannati a un perenne pendolarismo, anche quando i protagonisti vengono a mancare, il riferimento era ai soldi del botteghino, ai diritti televisivi, ai contratti pubblicitari.
Damiano Tommasi, il presidente dei calciatori, il campione buono e cattolico convinto, ha raccolto invece gli stati d’ animo dei colleghi dopo la morte di Davide Astori, il capitano della Fiorentina e li ha trasmessi a Malagò, commissario straordinario della Lega Calcio.
La serie A e B per una decisione presa dalla base si sono fermate.
Davide Astori, capitano della Fiorentina, aveva 31 anni quando il suo cuore si è fermato nella notte del 5 marzo 2018 durante il riposo prima della partita di Serie A con l’Udinese.
Non una morte come Foe da eroe omerico sul campo di battaglia, ma una morte silenziosa e misteriosa che ci ricorda come il suo gelido bacio non risparmi nessuno in ogni luogo e in ogni tempo.
Forse è proprio l’ineluttabilità della morte che irrompe nel più cinico ed efficientista dei giochi a lasciare tutti sgomenti restituendo a ogni macchina da gol la sua umanità.
Dopo l’eliminazione degli Azzurri dai prossimi Mondiali di Russia il calcio italiano vuole cambiare pagina e registro dopo anni in cui le squadre di club non hanno brillato a livello internazionale, in cui si contano sulle dita di poche mani i bilanci in salute delle società sportive, in cui i legami tra società e ultras restano troppo stretti.
Il grande pubblico ha capito ed accettato il gesto dei calciatori ed è bello che sia accaduto.
Per un giovane atleta è una morte bianca che suscita solidarietà e condivisione.
Compatto, unito e solidale nel dolore il calcio si è fermato e ha riflettuto sulla vita pregando sui morti.
Non ha continuato la sua corsa sulle due o quattro ruote o su degli sci.
Se così non lo fosse non sarebbe lo sport di gran lunga più amato ai quattro angoli del Pianeta.
Astori insieme ai suoi tifosi in viola per la bandiera e per il lutto lascia soprattutto una campagna ed una figlia che speriamo cresca su un campo di gioco migliore in quel cinico intreccio, lo ripetiamo, tra calcio e gioco della vita, del soft power e della goal economy.

Fra AMAB

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