La “paura” della Risurrezione

C’è di che aver paura. La Risurrezione è molto seccante non solo per gli impresari di pompe funebri, ma anche per le vedove allegre e rimaritate, per gli eredi che si dividono il gruzzolo o anche per gli assassini che sono riusciti a voltare pagina. Quando Erode viene a sapere delle guarigioni operate da Gesù, non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti» (Lc 9, 7). Si comprende bene la sua inquietudine. Se i morti incominciano a risuscitare, c’è di che rimanere perplessi. Non è molto simpatico incrociare per strada una persona che si aveva avuto cura di decapitare giorni prima –e che ci saluta sollevando la testa insieme al cappello. Più in generale, la fede nella Risurrezione giunge a distruggere due credenze contrarie, ma entrambe assai comode nel loro genere: quella nella semplice immortalità dell’anima, e quella nella morte come totale annientamento. L’annientamento ci permette di seppellire con noi tutti i nostri crimini ignorati. L’esclusiva immortalità spirituale ci permette di disprezzare il corpo di quaggiù, e di accogliere favorevolmente la morte come un’uscita dalla prigione. Queste due scappatoie ci sono ormai vietate. Per fare un buon risorto, occorre prima di tutto essere morto (e d’una morte che resta scandalosa). Ma per essere ben morto, occorre anzitutto vivere bene. Erode l’aveva presentito: se non si vive bene qui e ora, se non si ama già da ora il proprio prossimo, una Risurrezione generale rischia di andare male per uno sterminatore coscienzioso, perché sarebbe obbligato a stare vicino alla sua vittima gloriosa (ma l’avvenimento risulterà ancor più doloroso per il ricco e altezzoso filantropo, condannato a incontrare realmente dei poveri che non avranno più bisogno del suo denaro). Da qui l’avvertenza del profeta Daniele (12, 2): Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. Ma c’è dell’altro. Se Gesù ritorna col suo corpo e in mezzo a noi, vuol dire che è buona cosa vivere in un corpo e passeggiare sulla terra. Fino a questo punto, le donne non potevano essere che piangenti. Potevano rinviare il momento della gioia in un altro mondo. Potevano dirsi che ciò sarebbe avvenuto solo altrove, lontano dal quotidiano, lontano dalle faccende domestiche, in un futuro senza viscere, in cui tutto funziona senza scosse. Ed ecco che, invece di andare direttamente in cielo, il Signore è lì, si attarda, usa ancora le parole di tutti i giorni e giunge a fare anche un po’ di cucina sul fuoco di legna.

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